La fine del mondo è avvenuta in un attimo, quando alle ore 22.39 del 9 ottobre una frana, staccatasi dalle pendici settentrionali del monte Toc è precipitata nel bacino artificiale sottostante. La massa, composta da 270 milioni di mc. di rocce e detriti -praticamente un pezzo di costa del lago di quasi 4 chilometri- con un grosso boato è sprofondata nell'invaso, provocando nell'impatto un onda alta più di 100 metri che in un attimo ha tranciato elettrodotti e tralicci prima di debordare dalla diga. Due sono le gigantesche onde prodotte dalla frana una delle quali, quella a monte, spingendosi verso la vallata del Vajont, distrugge al suo passare le frazioni più basse lungo le rive del lago, quali Fraségn, La Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino, mentre la seconda, forte di oltre 50 milioni di mc. scavalca la diga precipitando a piombo nella vallata sottostante. Nella sua corsa tra le strette pareti della vallata, l'onda raggiunge l'altezza di 70 metri e come un maglio polverizza tutto al suo passare. Il paese di Longarone è raso al suolo e totalmente o parzialmente distrutte sono piccole frazioni del circondario come Rivalta, Pirago, Faé, Villanova e Codissago. Con la luce del giorno dopo, la tragedia con tutta la sua spaventosa realtà è sotto gli occhi dei sopravvissuti. 2000 circa saranno i morti. Una tragedia 'annunciata', poichè già dal 1960 si erano avuti smottamenti e frane, ignobilmente sottovalutati dai responsabili della diga, che era stata costruita tra il 1941 e il 1959 dalla società Sade, concessionaria dell'elettricità in Veneto . Nel '69 si svolse all'Aquila il processo: cinque degli otto principali imputati furono assolti, mentre gli altri tre furono condannati a pese assai lievi. (Gericus)
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