martedì 31 marzo 2009

SI FA PRESTO A DIRE "GIORNALISTA"...

C'è un tizio giù a Partinico, (Palermo), che ogni giorno appare su Telejato, tivvù locale. E' il responsabile del "Tiggì", che senza tanti preamboli, denuncia quotidianamente in video il malaffare della criminalità locale, leggasi "mafia". Si chiama Pino Maniaci, e non fa sconti a nessuno. Ma perché stampa e televisione nazionale, in questi giorni si stanno occupando di lui? Presto detto. E' stato rinviato a giudizio dalla Procura per "esercizio abusivo della professione giornalistica", ovvero, per non avere in tasca la tessera dell'Ordine (foto) che gli dà la titolarità per esercitare. Niente da eccepire sulla regolarità dell'emittente televisiva, solo che questa tv "antimafia" 'sbraca' su un punto: colui che denuncia il malaffare non può farlo, perché non in regola con l'iscrizione. Filippo Facci, nella sua rubrica su "Il Giornale" di oggi, ne ha da dire sulla categoria di coloro che si considerano giornalisti solo in base al famoso tesserino che hanno in tasca, e scrive il suo intelligente e pungente pensiero: "Non sto a valutare come Pino Maniaci faccia il giornalista, ma so che sicuramente lo fa. Però non lo è. Quanti invece lo sono, ma non lo fanno? Quanti fanno magari dignitosamente un altro mestiere? Quanti fanno intrattenimento? O cosiddetto 'infotainment? Quanti reggono solo un microfono? Quanti mezzibusti leggono solo testi altrui? Quanti incollano solo agenzie di stampa? O fanno gli autori? O compilano didascalie in riviste che sono depliant pubblicitari? Quanti danno spazio solo a chi è anche inserzionista? Quanti segnalano solo chi gli ha regalato le scarpe, il profumo, la borsa, la giacca, il cellulare, la vacanza o l'auto scontata? Perché 'Striscia la Notizia' fa arrestare Wanna Marchi ma non è un programma giornalistico? Perché non lo è 'Le Iene'? Perché altri contenitori invece si? Perché non si cita quasi mai Dagospia anche se fornisce notizie con giorni di anticipo? Perché si dedicano paginate alle nomine dei giornalisti lottizzati e solo poche righe ai peones che si fanno il mazzo in zone di frontiera? Possibile, soprattutto, che il nuovo contratto giornalistico non dica una parola sui buoni pasto?" Ecco fatto . La "categoria" è servita... (Gericus)

lunedì 30 marzo 2009

FINALMENTE E' SABATO...

La morte non guarda la nazionalità. In questo sabato appena passato infatti, in risse scatenatesi qua e là per l'Italia, ne hanno pagato le conseguenze un italiano, un marocchino e un albanese. L'internazionalità dell'imbecillaggine. Si, perché le risse sono scaturite per futili motivi, ingigantiti sicuramente da assunzione di droga e alcool. Ma andiamo per ordine. E' l'alba quando un gruppo di nordafricani -tutti clandestini per di più- si scontrano davanti ad un locale, il "Sharm el Sheikh" di via Lombroso a Milano. Non c'è un regolamento di conti se non qualche birra di troppo, tanto che sulla strada cade in un lago di sangue Jamal Ghani, 32 anni, ucciso da vari colpi inferti con un coccio di bottiglia all'avambraccio e all'ascella. Un paio di marocchini vengono arrestati, e vai a sapere se sono loro gli autori di quell'omicidio. All'incirca alla stessa ora ma a chilometri di distanza, questa volta è un italiano ad essere ucciso in una maxirissa scoppiata a Roma nel quartiere Ostiense in via del Gazomentro. Qui c'è di mezzo una ragazza contesa e i protagonisti sono tre noti pregiudicati. A zuffa terminata, un giovane -generalità ancora sconosciute- rimane a terra nel suo sangue. Trasportato con codice rosso all'ospedale, il giovane però vi giunge cadavere. Protagonista di quest'altro ennesimo fatto di sangue è un romano di 23 anni, che volendo festeggiare il suo primo anniversario di fidanzamento ha deciso di farlo recandosi con la sua amata a Firenze. Ristorante e discoteca poi, sulla via dell'albergo, nella centralissima piazza Duomo l'incontro con tre extracomunitari, i quali -chissà se fanno così anche a casa loro- lanciano pesanti apprezzamenti alla giovane. Alla sacrosanta reazione del giovane italiano, spintoni, pugni e infine, con un coccio di bottiglia, questi viene ferito gravemente al collo. Un carabiniere di passaggio -fortunatamente- mette fine alla rissa, restando a sua volta ferito. Lo straniero - anche se non viene specificato- si spera sia stato ammanettato. E' ancora l'alba quando ad Arezzo 'cantano' le pistole. Qui a farne le spese è un albanese di 29 anni, Agim Leka e i motivi, come spiega il pm Elio Amato, possibili rivalità tra due gruppi o mancato pagamento di un debito economico. Le due bande, formate da immigrati tra i 20 e i 30 anni, si scontrano una prima volta in un locale notturno verso mezzanotte. Tutto sembra finito, ma il fuoco cova sotto la cenere, tanto che qualche ora più tardi scoppia la sparatoria fuori dal "saloon" come se Arezzo fosse una qualsiasi cittadina del Far West. Una decina i colpi esplosi da armi diverse e un morto che resta sul selciato . Lo sceriffo, pardon, i carabinieri, arrivano a giochi fatti e subito scattano le indagini per risalire agli autori dell'omicidio. Questo è il resoconto di un fine settimana italiano, il tanto agognato appuntamento che una volta, con aria soddisfatta, ci faceva dire "meno male domani è sabato". Prova a dirlo ora... (Gericus)

sabato 28 marzo 2009

QUANDO IL MOSTRO E' IN CASA

TORINO - Mai pensare che l'orrore è solo altrove, un po' per tranquillizzarci e un po' per pulirci la coscienza. Il mostro è dove c'è l'uomo. Pensavamo che casi aberranti di sequestro o incesto fossero "roba austriaca", perché Natascha Kampush prima, e l'osceno e ripugnante caso di Joseph Fritzl poi, erano accaduti, guarda un po', vicino a noi, ma fuori dai nostri confini. Lo sconcio c'era, ma mitigato dai chilometri di distanza che ci separavano. Ora il marcio è di casa: "Stuprata da papà per 25 anni" titola La Stampa, e siccome a noi italiani piace primeggiare, arriva il resto: "Al 'festino' ha partecipato anche il fratello della ragazza". E' successo a Torino, e in questa casa dell'orrore si aggiunge altro: "Gli abusi cominciarono quando la ragazza aveva nove anni. Violentate anche le nipotine" aggiunge 'impietosamente' "Il Giornale", raccontando che questo fatto sembra una fotocopia dell'agghiacciante caso austriaco. Ma andiamo per gradi. I due mostri, padre e figlio, hanno rispettivamente 64 e 41 anni, mentre la ragazza, che chiameremo Anna, ha 9 anni quando subisce le prime molestie dal padre. Non è ancora chiaro quando oltre alla violenza fisica scatta anche il sequestro, diventando di fatto "l'oggetto di piacere" dell'uomo, che il ribrezzo mi obbliga a non chiamarlo padre. Dieci anni di umiliazioni chiusa in una stanza senza luce elettrica, con la schifosa omertà della famiglia. Ha 19 anni quando Anna riesce a fuggire, rifugiandosi in casa del fratello. Crede di essere al sicuro, ma il marcio è genetico dalla parte maschile, tanto che anche lui la violenta, come del resto faceva con le sue figlie di 20,12,8 e 6 anni. Lo scorso ottobre, Anna riesce a denunciare la sua situazione, e intercettazioni e microspie portano a galla, inequivocabilmente, ciò che avviene in quella casa degli orrori. Ora i due mostri sono in galera, e i servizi sociali hanno strappato le vittime alla famiglia. Sarà dura per loro ritornare a vivere con una storia come questa alle spalle, dove il marcio da raccontare è troppo, tanto da sembrare tutto incredibilmente vero. (Gericus)

venerdì 27 marzo 2009

TUNNEL MONTE BIANCO: 24-03-1999

"C'est lorsque l'on est oublié que l'on est vraiment mort"

Bovard Katia, 21 anni. Italia
Bovard Maurilio, 46 anni. Italia
Cairns Martin, 22 anni. Inghilterra
D'Amelio Giuseppe, 21 anni. Italia
Denis Francoise, 66 anni. Francia
Danis Marie Gabrielle, 32 anni. Francia
Fusco Luigi, 27 anni. Italia
Galimberti Ambroise, 83 anni. Francia
Galimberti Elda, 82 anni. Francia
Garin Nonon Denis, 39 anni. Francia
Gastini Ernesto, 48 anni. Italia
Guittet Bernard, 61 anni. Francia
Guittet Marie Martine, 55 anni. Francia
Hock José, 27 anni. Luxeburgo
Kesteloot Daniel, 53 anni. Belgio

Kostons Guido, 43 anni. Olanda
Lebras Maurice, 72 anni. Francia
Lienard Patrick, 40 anni. Belgio
Lohyer Bruna, 78 anni. Francia
Lohyer René, 83 anni. Francia
Lottin Patrick, 35 anni. Francia
Malabarba Gianluca, 38 anni. Italia
Mandelj Janez, 45 anni. Slovenia
Manno Stefano, 37 anni. Italia
Mikec Vladimir, 21 anni. Croazia
Monselice Stefania, 39 anni. Italia
Moraud Josiane, 57 anni. Francia
Morel Pascal, 38 anni. Francia
Pascal Nadia, 43 anni. Italia
Pascal Walter, 50 anni. Italia
Perquin Jean Michel, 34 anni. Francia
Segui Luc, 41 anni. Francia
Stephan Erlek, 45 anni. Germania
Tinazzi Pierlucio, 37 anni. Italia
Tosello Georges, 55 anni. Francia
Verdier David, 30 anni. Francia
Vessella Giuseppe, 51 anni. Italia
Viscogliosi Franco, 62 anni. Italia
Viscogliosi Irma, 61 anni. Francia

giovedì 26 marzo 2009

AGENZIA DI LAVORO REGINA COELI - ROMA

ROMA - A volte quanto è producente battere la testa nella famosa arcata che conduce alle celle di Regina Coeli, quell'arcata nella quale "se non ci batti la capoccia non sei un vero romano", frase tante volte pronunciata nelle commedie cinematografiche italiane. Non so se Karol Racz, (foto) il romeno prima inquisito poi prosciolto per lo stupro della Caffarella, ce l'abbia battuta visto la sua altezza, però c'è passato sotto a quell'arcata. C'era arrivato in manette dopo essere stato chiamato in correità dall'amico Alexandru Loyos, fino a quando, grazie a quelle tracce di Dna che non corrispondevano, l'altro giorno, lunedì 23 le porte del carcere gli si sono -giustamente- aperte. Ad attenderlo fuori dal portone della prigione, ha trovato una Mercedes metallizzata con tanto di autista, fotografi e telecamere. E lì è iniziata la favola. Albergo quattro stelle, finalmente una doccia, un pasto come si deve, abiti nuovi e su misura e poi, la ribalta della televisione, nel salotto di "Porta a Porta" ospite di quel 'marpione' di Bruno Vespa. Beatificazione del romeno, cenere cosparsa sul capo di tutti gli ospiti, lui che racconta la sua passata vocazione di farsi prete e poi, l'onestà, "solo una contravvenzione non pagata" sulla sua fedina penale, dimenticandosi però di tre soggiorni già passati nelle patrie galere romene per imputazioni che vanno dal furto alla ricettazione. "Ecco quando è stato il battesimo di Karol il pasticcere -come si legge sul sito Dagospia- dietro le sbarre: 12 giugno 1997 con tre anni di reclusione -tribunale di Fagaras-. 1998, altri 3 anni e tre mesi, condanna emessa dal tribunale di Brasov e notificata al Razc in carcere, e infine, tra cumuli e sconti di pena, l'aspirante 'monaco ortodosso' ha ricevuto la terza condanna nel 2000, un altro anno e mezzo di reclusione, condanna emessa ancora dal tribunale di Fagaras". Questo il 'palmares' del romeno, e noi invece lì a commentare quanto siano cattivi gli italiani che hanno tenuto in cella per 35 giorni un innocente e onesto "romeno". E come se non bastasse, il coro 'salottiero' implorava: "E' bravo Racz, è buono, troviamogli un lavoro", e lui lì a non capire il perché di tutto questo genuflettersi. Ma i romeni -avrà pensato- non erano odiati dagli italiani? Sicuramente avrà fatto anche il confronto se tutto ciò fosse accaduto non in Italia, bensì in Romania. Là, non avrebbero suonato le campane per la sua liberazione e in un caso simile, lo avrebbero buttato fuori senza neppure lo straccio di una Trabant che lo raccogliesse, senza il clik di un paparazzo qualsiasi e figurarsi poi, di trovare una tivù locale a riprendere le sue lamentele. Certo è uno strano Paese quest'Italia, avrà continuato a pensare il nostro Karol, e tanto più lo avrà scoperto quando gli sono cominciate a piovere addosso le offerte di lavoro, di ogni tipo e da ogni parte, col solo imbarazzo della scelta. Posti di lavoro dunque, alla Coop o in un noto ristorante, pronti ad essere offerti come risarcimento morale a questo sfortunato "povero straniero", come d'altronde era già successo con Azouz , che però rifiutò sdegnato. Qual'è la morale di tutto ciò? La via più breve per ottenere un posto di lavoro, oltre alla ribalta televisiva, cari giovani e onesti cittadini disoccupati, è farsi 35 giorni in galera, o se meglio vogliamo, all'Agenzia di Lavoro di Regina Coeli, a Roma. Sembra che funzioni... (Gericus)

lunedì 23 marzo 2009

LETAME PER ANTIPASTO AL CAMBIO...

TORINO - Un intrusione, una rappresaglia. Ma verso chi? E soprattutto, a nome di chi? Certo, ci fosse stato il conte Camillo Benso di Cavour seduto al suo tavolo preferito al Ristorante del Cambio, le cose non sarebbero andate così. Così come? Beh, con quelle manciate di letame profuso a piene mani, e non in senso metaforico, ma reale. Mi immagino la scena, e non so se... mettermi a ridere o a riflettere pensieroso. Fatto sta che l'appetito sicuramente è passato a quei pochi avventori che verso le 20,45 di ieri sera sedevano tra stucchi e ori in uno dei più rinomati ristoranti piemontesi, se non d'Italia. Camerieri in altissima uniforme, aria ovattata e lampadari d'epoca con luce soffusa. Quale miglior posto per trascorrere una serata "da ricordare"? Tutto lasciava presupporre che lo chef Riccardo Ferrero avrebbe fatto sollazzare le papille gustative di ricchi gourmet, se non fosse stato per quella scampanellata improvvisa. Il tempo di aprire le lussuose porte che danno su piazza Carignano, poi, l'incubo prende corpo. Cinque giovani 'di nero vestito' e con tanto di passamontagna entrano spavaldi al grido "Anche i ricchi non dovranno mangiare! Sciopero della fame anche per voi!". Fosse stato Carnevale sarebbe stato eccezionale come scherzo, ma carnevale, per dio, è finito da tempo, quindi che sarà mai questa intrusione? L'odore sgradevole che nel frattempo invadeva le sale proveniente da quei secchi che i giovani tenevano in mano poi non era per niente di buon auspicio, e la risposta è arrivata subito: manciate di sterco per tutti, tirate a go go in lungo e largo, sopra le tovaglie di lino pregiato, sugli abiti sartoriali dei clienti, sui tavoli con pietanze già pronte alla forchetta, sui lampadari e in alcuni casi, anche sui volti degli attoniti buongustai. Quando la sala sembrava un porcile, via di corsa, al grido minaccioso di "Adesso mangiate, se avete stomaco". Motivazioni di questo gesto? Sembra per appoggiare la protesta degli immigrati clandestini nei centri di identificazione e espulsione. Mah, non so cosa leghi questi due estremi, come altrettanto no so cosa leghi il letame alle "terrine di fegato d'anatra con pesche tardive di Leonforte", le "penne rigate di Gragnano con salsicce" o al limite, "lo stinco di vitello con salsa al rosmarino". Il tutto, annaffiato dai più bei nomi d'annata dei vini piemontesi oltre che dal meglio delle vigne d'Italia e Francia. Onestamente, non so se continuare a ridere -mi immagino la scena!- oppure sedermi pensieroso e riflettere sul gesto... non so... (Gericus)

giovedì 19 marzo 2009

TRISTE PARABOLA DELL'HOTEL VALLE d'AOSTA

AOSTA - I fasti del glorioso "Hotel Valle d'Aosta", 120 camere, erano ormai sfioriti da tempo. Costruito negli anni '70 dalla società inglese Rank, -proprietaria tra l'altro anche del prestigioso Hotel Romazzino, il cinque stelle 'extra lusso' di Porto Cervo in Sardegna- l'hotel passò di mano nei primi anni '80 nientemeno che all'Aga Khan, padre-padrone della Costa Smeralda. L'intento del magnate arabo però era l'acquisto del solo Romazzino, ma dato che la Rank nel 'pacchetto' ci aveva inserito pure l'hotel Valle d'Aosta, questi non si fece scrupoli e acquistò in blocco i due alberghi, salvo poi vendere immediatamente -e senza mai averci messo piede- quello aostano. Fu la società Hova -Hotel Valle d'Aosta- a rilevarlo, smembrando la proprietà. L'ala adiacente, ovvero il ristorante-grill fu venduto a terzi, mentre il bar interno -con servizio colazioni e camere- venne dato un gestione. Dei circa 90 dipendenti cui disponeva l'albergo, il numero fu ridotto così a una decina. "Erano ancora tempi gloriosi" dice un dipendente che vuole rimanere anonimo, "tanto che l'albergo spesso era tutto esaurito". Attori, cantanti a livello internazionale, personalità del mondo politico, tutti si fermavano all'Hotel Valle d'Aosta, fin quando a metà degli anni '90, i primi contraccolpi si fecero sentire. Lunghi periodi -specialmente d'inverno- di catastrofica tranquillità, poi, anche la stagione estiva, che prima aveva rappresentato linfa vitale per la sopravvivenza dell'albergo, cominciò a raccorciarsi sempre più, focalizzandosi sul solo mese di agosto. Troppo poco per una struttura simile. Sandro "Dando" Pignataro, uno dei soci Hova, -scomparso recentemente- capì, da fine imprenditore, che il Valle d'Aosta era un Titanic in attesa dell'ultimo flusso di mare prima di inabissarsi, e lo mise in vendita. A maggio del 2000, l'operazione venne conclusa. Nuovo proprietario dell'Hotel Valle d'Aosta -che ne avrebbe cancellato anche il nome- era Class Hotel, società con all'attivo numerosi altri alberghi sparsi per l'Italia. Chissà, forse un pizzico di presunzione dei propri mezzi e poca o scarsa conoscenza della situazione turistica locale sono stati la miscela giusta per arrivare alla disfatta, giunta appena dopo sette anni di nuova gestione, dato che i primi due infatti se ne erano andati in faraoniche e costose operazioni di trasformazione della struttura. Ad aprile, con la sua chiusura dunque, via l'albergo che per anni -assieme all'hotel Billia di Saint Vincent-, ha rappresentato la nostra ospitalità, ultimo spicchio di una Valle che non c'è più, e brutto sintomo, per la nostra regione, di una crisi turistica senza fine... (Gericus)

mercoledì 18 marzo 2009

LA VERGOGNA DEL MOSTRO

Si vergogna. Lo dice l'avvocato di Josef Fritzel, il mostro austriaco (foto) che per 24 anni ha commesso le nefandezze più infime che un uomo-padre possa fare: abusare della figlia, renderla madre dei suoi stupri e infine, sopprimere uno dei neonati. "Il mio cliente si copre il viso e non parla con i giornalisti perché si vergogna". E allora eccolo lì davanti ai giudici , col volto coperto da una cartella, a raccontare le sue nefandezze, prima asserendo "si, ho violentato mia figlia ma non ho ucciso nessuno", come se quella prima ammissione bastasse a ridargli la dignità di uomo, di padre. Ma gli orrori dovevano ancora arrivare, con la deposizione della figlia Elisabeth, oggi 43enne e in cura con i sei figli nati dall'incesto presso un centro psichiatrico, la quale, attraverso un video registrato di 11 ore -è stata esentata dal tribunale ad essere fisicamente presente in aula-, ha spiegato che il padre-mostro "mi violentava costringendomi a ripetere certe scene di sesso viste in film pornografici". Pazzia, perversione, tanto che nelle violenze, il padre -ma possiamo chiamarlo ancora tale?-, imponeva alla ragazza la penetrazione di giocattoli sessuali che le provocavano bruciori e ferite. L'ultimo gradino del degrado umano, mentre il suo avvocato -ah gli avvocati!- cerca di riconsegnarlo alla società con paradigmi che offendono la sensibilità comune: "Se il mio assistito avesse agito per pura libidine, non avrebbe cercato dei bambini". Puah, il voltastomaco! Saranno i giudici del tribunale di Polten, in Austria, a stabilire se Josef Fritzel, il mostro di Amstetten, abbia delle chance per vivere ancora nel contesto sociale o se invece, come si prevede, passi il resto della sua vita in carcere, anche se -come dice lui-, "ho solo violentato per 24 anni mia figlia, ma non ho ucciso nessuno". (Gericus)

lunedì 16 marzo 2009

CLANDESTINI E... IL PAESE DEI PUFFI

A volte ci piace pensare in rosa. Una realtà pulita e linda, mondata da ogni lordura. Una quasi società di "Puffi" insomma, dove il male non alberga e la vita scorre serena tra un volare di farfalle e brontolii di ruscelli, e dove al massimo c'è quel simpatico cattivaccio di Gargamella col suo gatto Birba. Perché tutto questo? Perché leggendo un articolo di fondo su La Stampa di oggi, mi sembra proprio -visto ciò che scrive Domenico Quirico-, di entrare giusto nella dimensione degli ometti blu usciti dalla fantasia del vignettista belga Pierre Culliford. "I clandestini nuovi eroi del cinema" titola il suo articolo. Certo ce n'è di fantasia in questo pezzo oltre ad una speranza incredibile: "E se alla fine a fare la resistenza, a inventare 'i buoni', 'i nostri', indispensabili a compensare un mondo di fradice emozioni e di quiete paure che ci fermentano intorno, e che traboccano come un bicchiere, non restasse che il vecchio cinema con la idealizzazione 'naive' della realtà, con quella specie di mondo incantato, i suoi sogni insomma"? Il tutto, secondo Quirico, grazie a quei due o tre film in uscita in questi giorni, dove gli eroi di turno, guarda un po', sono appunto i clandestini. E cita "Welcome" di Philippe Lioret, e poi "Verso l'Eden" di Costa Gravas. Miele a piene mani e buoni sentimenti, che come la pubblicità uscita recentemente "Romania, piacere di conoscerti" cerca di placare il malessere, questi film mostrano quello che tutti noi -e sicuramente anche loro- vorremmo. Ma la realtà, purtroppo, è diversa, è quella che leggiamo tutti i giorni sulle pagine di cronaca nera o nei faldoni delle denunce in questura. E' una clandestinità che non ha niente di "romantico" ma ha solo pretese, chiede impunità e distrugge centri di accoglienza, è una clandestinità che riempie in certe città del nord le nostre prigioni con punte del 70%, e che in momenti di crisi come gli attuali -bisogna pure guardare il portafoglio- ogni clandestino costa al Governo -a noi- un qualcosa come 400 euro al giorno. Eccola qui dunque "la poesia", il volo di farfalle "a Pufflandia" intorno agli "gnometti blu". Eccola qui la beatificazione del cinema sul clandestino che fa tanto "politicamente corretto" un certo schieramento politico, lo stesso che ha dovuto fare i conti alle ultime elezioni col pensiero reale degli italiani. Che è quello di non credere più alle favole... (Gericus)

sabato 14 marzo 2009

E CORRADO GEX, COME LA PENSEREBBE?

AOSTA - Solito discorso dell'uovo e la gallina. Nel nostro caso specifico invece è: chi deve nascere prima, il turismo o l'aeroporto? Il dilemma infatti sta tutto qui, e questo è il problema che da un bel po' di anni attanaglia politici e valdostani. Si dice, in certi ambienti, che un aeroporto grande e funzionale sia un mezzo per incrementare il movimento turistico, mentre dall'altra parte invece, si sostiene che se la domanda turistica non c'è, è inutile creare una struttura che rimarrebbe inutilizzata, una costosa cattedrale nel deserto e per di più a carico dei valdostani. E poi, fanno sapere, un aeroporto, il "Corrado Gex", (foto) già ce l'abbiamo, piccolo, turistico e disponibile per aerei con massimo 30 posti passeggeri, quindi? L'idea infatti è quella di ampliare la pista, -lavori già iniziati- dando così la possibilità al transito di aerei da 80 posti, aerei che necessitano una pista di rullaggio molto più lunga di quella attuale, oltre a tutta una serie di infrastrutture adatte all'occorrenza. "C'è questa necessità?" si chiedono i valdostani, che riunitisi in un Comitato hanno portato la loro protesta ai vertici dell'Amministrazione regionale. Una protesta, che a vedere i risultati venuti fuori ha dato i suoi frutti: "Il progetto dell'aereoporto sarà ridimensionato" annuncia il presidente della Regione Augusto Rollandin. Ma quali sono i punti, oltre all'inutilità della struttura ampliata -come sostiene il Comitato- che hanno indotto molti a boicottare questa iniziativa? In primo luogo la sicurezza. La pista del Corrado Gex infatti, nella sua estensione ad ovest, punta dritta sulla città di Aosta, cento metri e siamo sopra le case del capoluogo. Un corridoio troppo stretto poi obbligherebbe gli aerei a sorvolare i tetti della città, con il frastuono che ne consegue oltre ad altri fattori di ben maggior importanza. Un decollo "abortito" infatti sarebbe fatale, pertanto, serve un ripensamento. "La nuova aerostazione (costo 30 milioni di euro) che sia costruita solo al momento in cui il traffico dei passeggeri lo richiederà" chiede il Comitato -come si legge su La Vallée Notizie di oggi-, mentre il presidente Rollandin, senza replicare alle considerazioni espresse, afferma che nei giorni scorsi "abbiamo dato indicazioni ai progettisti (Gae Aulenti n.d.r.) di ridimensionare l'aerostazione rispeto alle ipotesi prospettate in un primo tempo. Ora anche noi siamo in attesa delle loro soluzioni". Sarà svelato presto dunque il rebus dell'uova e la gallina?... (Gericus)

martedì 10 marzo 2009

SANGUE A TORINO SULLA VIA DI CASA...

TORINO - Quanti disastri e quanti lutti ha provocato questa nostra assurda società. Quanta ipocrisia e quanta rabbia in quello che è successo ieri a Torino, dove uno "squilibrato" ha ucciso un giovane padre e ferito gravemente la di lui figlia. Come al solito, è la società "buonista" che ha aperto le porte dei manicomi, poiché secondo certe filosofie, anche uno "squilibrato" "è pur sempre un essere umano", quindi, via quegli ospedali "sempre più simili a lager" e riportiamo tra noi i folli. Ma per il "politicamente corretto" quindi, e in base a nuove denominazioni molto "radical chic", dove uno spazzino è un "operatore ecologico", un cieco è un "non vedente", uno zoppo o un monco è un "diversamente abile", che cos'è un folle omicida? E va bene, la definizione la coniugo per la prima volta io: "diversamente affidabile". Ed era proprio uno di questi, tale Antonio Olivieri, 43 anni, che ieri alle 12,45 incrocia Lorenzo Bollati 46 anni, e sua figlia Giorgia, 16 anni, studentessa liceale. Padre e figlia sono seduti a bordo della loro vettura, ferma in seconda fila, quando il "diversamente affidabile" apre lo sportello del passeggero: "Scendi, voglio la macchina" cominciando a menar fendenti. Il padre, capito la gravità della situazione, balza fuori dall'auto in difesa della figlia, già colpita in più parti , ma poco potrà fare. Colpito con un tremendo fendente alla giugulare, si accascia a terra in un lago di sangue. Il folle, pardon, il "diversamente affidabile" fugge ma viene agguantato da una pattuglia della Polizia locale. Per Lorenzo Bollati purtroppo non c'è più niente da fare, mentre per la figlia, ricoverata urgentemente in ospedale con terribili coltellate all'addome, la prognosi è riservata. Ma se questo è il "dopo", c'è anche un "prima" alla vicenda. Il folle, pardon, il "diversamente affidabile" un attimo prima di compiere il massacro, si era recato in caserma dai carabinieri in uno stato di alterazione psichica da mettere in allarme anche il più devoto "francescano" in vena di assoluzione. Dalle sue tasche, spuntava anche il manico di un coltello con lama di 12 centimetri, notato e sequestrato dagli uomini dell'Arma, che a quel punto telefonavano al 118 per un ricovero ospedaliero, come se la persona davanti ai loro occhi fosse una partoriente da spedire in maternità e non un potenziale assassino da scortare in manette alla Neuro, pertanto, nessuno in quell'occasione lo perquisirà a fondo. Se ciò fosse avvenuto invece, -e mi chiedo come è possibile che non sia stato fatto!- sarebbe saltato fuori un altro coltello, quello che infatti, pochi minuti dopo verrà usato dal folle per sgozzare Lorenzo Bollati e ridurre in fin di vita la figlia. Finisce qui questa brutta storia, una storia dove nessuno vuol prendersi delle responsabilità, e i matti, pardon, i "diversamente affidabili" possono girare indisturbati tra la gente invece che essere al sicuro in un manicomio. Il tutto, dove il menefreghismo più assoluto impera grazie a quell'assurda "legge Bisaglia" che forse salva la faccia ad una società decadente come la nostra, ma non la vita a chi, per uno strano disegno del Destino, ha la sventura di incrociare un pazzo sanguinario, o se meglio credete, un "diversamente affidabile"... (Gericus)

lunedì 9 marzo 2009

IL MEDIOEVO DEL XXIesimo SECOLO

Certo l'offesa è grande. Acido buttato sul volto di una giovane donna per punizione, per aver solo rifiutato la "corte" di un uomo che la voleva -a tutti i costi- per sposa. Il risultato è devastante per la donna: cecità e volto ridotto ad una maschera sanguinolenta. Il tutto, come abbiamo già parlato in un articolo precedente, succede a Teheran (Iran) nel 2004, e lei, triste protagonista di questa storia agghiacciante, è l'allora 24enne Ameneh Baharami, una bella studentessa universitaria della capitale. Il suo aguzzino ,di cinque anni più giovane, è Majid Movahedi. Si era follemente innamorato di lei e la voleva sua, senza si e senza ma. Quale torto ebbe dunque Ameneh? Di rifiutare cortesemente la proposta di diventare sua moglie, tutto qui. La risposta è quell'acido scagliato, cure su cure per ridare un segno a quel volto disfatto e poi, la cecità totale. Ma perché parliamo ancora di questo caso? Perché proprio pochi giorni fa, il tribunale di Teheran ha accolto la richiesta di Ameneh Baharami, contemplata dalla "legge del taglione", che assieme all'Arabia Saudita, è interamente applicata anche in Iran. Pertanto Majidi Mohavedi, arrestato ne 2005, presto verrà accecato. "Ho ricevuto questa notizia con sollievo" ha detto Ameneh da un ospedale di Barcellona dove è in cura, "ma non sarò io ad eseguire la sentenza, perché non ci vedo". Chi eseguirà manualmente quindi la sentenza? "In base alla legge ci sono molte persone che possono farlo per me -continua Ameneh- e partendo dai miei genitori agli amici, in molti si sono offerti di farlo". Nel dramma di Ameneh, orrendo quanto basta, una "giustizia" che lascia sgomenti, ovvero quella vendetta servita a "freddo" sul carnefice per renderlo a sua volta, cieco a vita. Giustizie e leggi lontane dalla nostra cultura e che ci lasciano basiti, sia per quel gesto di spregio compiuto nei confronti della donna -ritenuta in certi Paesi al pari di una capra-, sia nella riparazione del torto subito. Medioevo del XXIesimo secolo... (Gericus)
(foto: Ameneh col dottor Ramòn Medel che l'ha in cura a Barcellona)

domenica 8 marzo 2009

8 MARZO? CHE LA FESTA CONTINUI...

La festa dell'8 marzo, quella dedicata alla donna, al gentil sesso russo proprio non va giù: "E' una festa ipocrita" sostengono, "perché solo in quel giorno i nostri uomini sono gentili con noi, non bevono, ci aiutano in casa e ci regalano pure dei fiori. Passata la festa però, ritorniamo ad essere le schiave di sempre". Quindi? "L'8 marzo si tradisce". Ecco fatto. E non è una boutade, perché hanno fondato pure un club, "L'8 marzo di Mosca", dove con tanto di codici "morali", si spiega che in questa data "si può scegliere l'uomo che vogliamo attraverso una lunga lista, che però non potrà essere scelto più di una volta nella ricorrenza". Ed allora eccole lì, gaudenti cinquantenni con seni e glutei rifatti o quarantenni scalpitanti, che dopo aver accettato il mazzo di mimose dal partner, sciamano per le vie di Mosca per farsi fare "la festa" dal fustaccio di turno, così come prevede "il regolamento del club". E sembra che sia anche un buon metodo per non far naufragare il matrimonio, come racconta una certa Veruska, 45 anni, sposata e madre di due figli: "L'anno scorso, mio marito decise per l'8 marzo di andare assieme a far visita a sua madre. Un idea che non accettai per niente, tanto che ci fu una grossa litigata. Mio marito così partì da solo e io, ancora furiosa, me ne restai a casa. Una mia amica poco dopo telefonò per dirmi che c'era un suo collega 'solo soletto' per una visita in città, chiedendomi se ero disponibile ad incontrarlo. Accettai per ripicca, e devo dire che fui molto contenta di quel pomeriggio passato assieme a far sesso, e alla sera, quando tornai a casa, tutto mi era passato e verso mio marito non provavo più rancore. Penso di aver salvato il mio matrimonio grazie a quella scappatella". Motivazione accettata e dignità ritrovata. Ma cosa credevamo noi 'maschietti'? Di mettere tutto a posto con un 'abdicazione giornaliera' del nostro maschilismo? Ecco il risultato. Rendere 'pan per focaccia', altro che mimose! A questo punto, in molte hanno capito che un bel paio di "corna" sono la giusta medicina ad un matrimonio che traballa e ad un marito che si ricorda della moglie solo una volta all'anno, tanto che il "Club 8 marzo" continua ad avere sempre più iscritte. Per concludere? Ma che diamine! Che festa sia... (Gericus)

sabato 7 marzo 2009

STATALE 26: LA DOLCE VITA ...

AOSTA - Notte brava per quattro valdostani. Succede giovedì scorso, quando un quartetto di giovani balordi preleva nei pressi del Casinò di Saint Vincent due giovani prostitute nigeriane di 21 e 23 anni, in Valle per "lavoro" ma residenti a Torino. Una notte di bagordi "tutto compreso" dunque, da trascorrere nella casa di uno dei quattro valdostani ad Aymavilles, un paese distante una ventina di chilometri ad Ovest di Saint Vincent. Nei propositi dei quattro giovani però -età che varia dai 21 ai 40 anni-, c'è l'intenzione di non spendere un euro, cosa non per niente gradita alle due nigeriane. "Soldi in anticipo o niente sesso" dicono. "Ma quali soldi quando il divertimento è reciproco" avranno pensato i gaudenti giovanotti, perciò, dai, "divertiamoci". Ma vaglielo a spiegare che le due nigeriane sono delle professioniste, e che le loro prestazioni -Iva esclusa- vanno remunerate né più né meno come quelle di tutti i liberi professionisti, perciò, "rien ne va plus". Si, ma prova a ragionare con il testosterone alle stelle e con "la festa" che va in fumo... Le due tapine vengono rinchiuse in una stanza, ma grazie ad una finestra posta a piano terra, riescono a fuggire dai quattro "festaioli". Una breve corsa nel buio della notte poi, riprese, vengono a questo punto -secondo i verbali dei carabinieri- "malmenate, caricate in auto, riaccompagnate ad Aosta e lì abbandonate" non prima però, durante il viaggio, di aver subito dai tre -il quarto era rimasto a casa- "vari tentativi di rapporti sessuali contro volontà". Di tutt'altro avviso la versione dei tre giovani, che però, assieme al quarto "festaiolo", sono stati arrestati la notte stessa dai carabinieri del colonnello Guido Di Vita e trasferiti nelle locali prigioni con l'accusa di "sequestro di persona, tentata violenza sessuale di gruppo e rapina". Il giorno dopo, il gup Maurizio D'Abrusco non ha convalidato l'arresto e ha rimesso in libertà i quattro gaudenti giovanotti. Suvvia! E' stato solo un tentativo di "dolce vita"... (Gericus)

venerdì 6 marzo 2009

CAFFARELLA: CALMA E SANGUE FREDDO

ROMA - Il servilismo, la paura di essere scambiati per xenofobi, il voler apparire "politically correct" ad ogni costo fa brutti scherzi: "Non voglio degli innocenti in galera" diceva ieri il sindaco di Roma Gianni Alemanno, mentre "La Stampa" titolava "I 'mostri' romeni scagionati due volte". Il tutto si riallaccia all'esito dei risultati delle analisi compiute sul Dna dei rumeni arrestati per la presunta violenza sessuale della Caffarella, i quali scagionerebbero i due. Ecco la corsa a correggere prematuramente il tiro. Orbene, se gli esami della scientifica sono incompatibili col Dna dei due arrestati, ciò non azzera altre circostanze ormai confermate e messe a verbale. Ma andiamo con ordine. La confessione fatta dal "biondino", tale Alexandru Isztoika Loyos, 20 anni, (foto) riporta in maniera precisa fatti, circostanze e azioni che solo l'autore della violenza poteva esserne a conoscenza, circostanze tanto più avallate dalle dichiarazioni fatte in precedenza dalla vittima stessa dello stupro, la giovane quattordicenne, e dal fidanzatino, bastonato e costretto ad assistere allo stupro. Confessione poi ritrattata, poiché come asserisce il rumeno stesso, "estorta con le botte sia da parte della polizia romena che da quella italiana", salvo poi sapere che l'intero interrogatorio è stato tutto video-registrato. Al di là di questo, c'è un secondo punto inconfutabile: il riconoscimento senza ombra di dubbio da parte della vittima la quale ha indicato il suo violentatore attraverso la visione di un numero imprecisato di foto segnaletiche mostratele dalla polizia: "E' lui, ma adesso non fatemelo più vedere" ha urlato la giovane davanti a quella foto. Un altro punto poi è il riconoscimento del secondo rumeno, tale Karol Racz, 36 anni -quello acciuffato a Livorno-, descritto subito dalla vittima "come uno con la faccia da pugile", e che in effetti, la faccia da pugile ce l'ha, anche se il suo avvocato annulla il tutto asserendo che gli identikit "lo segnalano con folti capelli mentre il mio assistito è stempiato". E del secondo riconoscimento del suo assistito da parte di un'altra donna violentata un mese prima, il 21 gennaio a Primavalle, dove lo mettiamo? E infine che attendibilità possono avere i risultati del Dna sui tamponi prelevati sul corpo della giovane, quando sappiamo che è stata violentata da più persone? Per concludere, non due colpevoli a tutti i costi, ma nemmeno una corsa alla "beatificazione" dei due soggetti prima che si sia compiuto tutto l'iter inquisitorio... (Gericus)

martedì 3 marzo 2009

ELUANA E IVAN: I DUE VOLTI DELLO STESSO DOLORE

Eluana e Ivan, i due volti dello stesso dolore. Non c'è mai casualità sotto il cielo, tanto che queste due storie, così uguali e così diverse, rispecchiano il dramma familiare quando la malattia sconvolge una vita. Beppino Englaro e David Cameron, -leader conservatore inglese- rispettivamente papà di Eluana e l'altro del piccolo David, hanno pianto lo stesso dolore, lo stesso dramma. David, sei anni, era nato affetto da paralisi cerebrale, e la morte lo ha colto il 25 febbraio, improvvisamente, portandoselo via dopo un ora di agonia.
"Abbiamo sempre saputo che Ivan non sarebbe vissuto per sempre, ma non ci aspettavamo di perderlo così giovane e così all'improvviso. Lascia un vuoto nella nostra vita così grande che le parole non riescono a descriverlo. L'ora di andare a letto, l'ora di fare il bagno, l'ora di mangiare, niente sarà più uguale a prima. Ci consoliamo sapendo che non soffrirà più, che la sua fine è stata veloce, e che è in un posto migliore. Ma, semplicemente, manca a noi tutti disperatamente. Quando ci fu detto per la prima volta quanto fosse grave la disabilità di Ivan, pensai che avremmo sofferto dovendoci prendere cura di lui ma almeno lui avrebbe tratto benificio dalle nostre cure. Ora che mi guardo indietro, vedo che è stato tutto il contrario. E' stato sempre e solo lui a soffrire davvero e siamo stati noi -Sam, Nancy ed Elwen- (moglie e gli altri due figli n.d.r.) a ricevere più di quanto io abbia mai creduto fosse possibile ricevere dall'amore per un ragazzo così meravigliosamente speciale e bellissimo". Parole dolci e sofferte di David Cameron dedicate al figlio scomparso che devono far riflettere sul valore della vita... (Gericus)
(foto:un tenero gesto d'amore tra papà e figlio)