sabato 29 maggio 2010

Razzismo alla rovescia

Il fatto: una famiglia sfrattata perché da anni non paga più l'affitto. Proteste e minacce di suicidio (foto) poi, prontamente l'amministrazione comunale attraverso i servizi sociali interviene, trovando per la famiglia una sistemazione a tempo indeterminato presso una Casa di Accoglienza gestita dalle suore, in attesa di un nuovo alloggio. Tutto finito nel meglio dunque? No, grande rifiuto degli sfrattati. Motivo? "Siamo musulmani, e lì non vogliamo andare". Ebbene, succede anche questo nella "rossa" Bologna, e i protagonisti di questa vicenda che ha dell'incredibile sono il marocchino Abdelrahim Gourich, 46 anni, che con tanto di moglie e figlia 16enne si è visto recapitare un ordine di sfratto a causa di un debito di 20.000 euro accumulato con il suo padrone di casa, tra affitti e altre scadenze non onorate a causa della perdita del posto di lavoro. Situazione drammatica senz'altro, ma non unica purtroppo, simile perciò a quella di tante altre migliaia di lavoratori italiani. Ma qui 'brilla' la solerzia dei nostri amministratori a trovare una pronta soluzione, una soluzione che di certo non sarebbe arrivata così velocemente nel caso gli sfrattati fossero stati degli italiani di Vattelappesca. "Chi ci ha proposto questa soluzione non ha pensato che siamo musulmani"? spiega candidamente Hind la figlia 16enne, aggiungendo tra l'altro che "in un istituto gestito dalle suore non potremmo pregare, non saremmo liberi di osservare i nostri principi religiosi". Ma solleva anche problemi sul vitto che sarebbe stato servito "gratuitamente" loro, perché "le abitudini alimentari dei cattolici sono diverse dalle nostre, perciò accettando la sistemazione rischieremmo di mangiare carne di maiale, un alimento proibito per noi musulmani". Non sappiamo a questo punto se il sub commissario al Welfare Raffaele Ricciardi abbia desistito nel cercare un'altra soluzione abitativa o tenti ancora nei suoi sforzi per dare un tetto a questa gente, fatto sta che una situazione simile solleva -oltre ad un certo rammarico da parte di italiani con gli stessi problemi- alcune domande: Ma perché gente che sa di andare in Paesi dagli usi e costumi totalmente agli antipodi, non se ne sta a casa propria? Oltre a ciò, è ammissibile che uno straniero "pretenda" attraverso minacce suicide sistemazioni abitative o lavorative come se fossero atti dovuti? E ancora, perché le amministrazioni si attivano subito verso stranieri e mai con una simile tempestività per le migliaia e migliaia di persone italiane nelle stesse condizioni? E infine: perché non dare un limite di permanenza allo straniero che si trova nell'impossibilità di mantenersi sul suolo italiano? Quando mi recai la prima volta in Inghilterra, la polizia di frontiera a Dover controllò le mie finanze: 400mila lire. Misero un timbro sul mio passaporto con un permesso di soggiorno a 30 giorni: "Con questa cifra lei può restare in Inghilterra solo per un mese". Tutto ciò me lo disse un solerte poliziotto senza nessuna forma di razzismo, se non con la solita proverbiale flemma inglese...

venerdì 28 maggio 2010

Detenuto straniero quanto mi costi!


Carceri, detenuti e sovraffollamento. Un male cronico per quest'Italia dalla giustizia altalenante e dai numeri impressionanti. Lo denuncia l'Associazione Antigone, affermando che "le carceri italiane sono le peggiori del Continente in quanto a sovraffollamento". Su quasi 44mila posti disponibili nei nostri penitenziari, ben 67.542 sono invece i detenuti reclusi, 20mila dei quali di origine straniera. "Senza di loro" afferma Giovanni Battista Durante, del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (SAPP), "non avremmo nessun problema". E non è un problema da poco, perché se pensiamo che ogni detenuto costa 157 euro al giorno alle casse dello stato, il conto è presto fatto: 10 milioni e 600mila euro il costo globale giornaliero, che in un anno ammonta a 3miliardi e 868mila euro. I detenuti stranieri "cubano" su questa cifra per 3milioni e 140mila euro al giorno, che in anno sono 1miliardo e 146mila euro, ovvero una finanziaria. E' il problema dei delinquenti stranieri che più pesa, perché come dice ancora Giovanni Battista Durante, "se non ci fossero loro non avremmo nessun problema di sovraffollamento", un affermazione condivisa anche dall'Associazione Antigone, poiché sottolinea che questi aumentano sempre più: "Alla fine del 2005, gli atranieri in carcere erano il 33% dei 59mila detenuti, mentre alla fine del 2006, nonostante l'indulto che incidendo su pene brevi ha portato alla scarcerazione di molti più detenuti stranieri che italiani, gli stranieri erano già tornati al 34%, e da lì in poi sono ulteriormente aumentati". Ma il problema di questo alto numero di detenuti stranieri comporta anche molti altri problemi: "Dai dati derivati dagli ingressi in carcere -continua il sindacalista Giovanni Battista Durante-, 9.900 detenuti professano la religione islamica, quindi praticanti e molto attenti dei precetti religiosi, a partire dal mese del Ramadam, in cui digiunano di giorno. Oltre a questo poi, l'Amministrazione deve fornire un vitto diverso esclusivamente per loro, una diversità che unita alla lingua contribuisce a rendere ancora più difficoltoso il lavoro in carcere". E tra gli stranieri ospiti nelle nostre patrie galere non ci sono solo ladri di polli, ma vi sono anche "circa 50 detenuti per il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale o di eversione all'ordine democratico appartenenti ad Al Quaeda e ad altre associazioni terroristiche". Gente in Europa dunque per creare stragi, lutti e distruzione. Una bella "rimpatriata" veloce e immediata di questi soggetti, poi, a seguire, fuori dalle nostre prigioni con viaggio di solo andata nei rispettivi Paesi anche di tutti gli altri. E ce ne sono tanti, se pensiamo che la maggior parte di questi riguarda le regioni del nord, con in testa la Valle d'Aosta, con nientemeno che il 70,15% di popolazione carceraria straniera, il Trentino Alto Adige (65,13%), il Friuli Venezia Giulia (60,65%), la Liguria (55,22%), il Veneto (57,16%), l'Emilia Romagna (52,56%), il Piemonte (49,52%) e la Lombardia, con il 44,44%. In momenti di austerità e nella ricerca spasmodica di tagli alle uscite dell'Amministrazione, 1 miliardo e 146mila euro all'anno per detenuti "che arrivano da lontano" non possiamo permettercelo. Oltre alla caccia agli evasori fiscali e ai finti invalidi quindi, aggiungiamo anche questa voce...

mercoledì 26 maggio 2010

Al mio piccolo manca lo yacht

Il settimanale "Diva e Donna" lo ha messo nero su bianco: "Il nostro bambino è quello che ha risentito di più di questa situazione, di questo brusco cambiamento. Da quando siamo usciti dalla clinica di Nizza dove ho partorito, lui ha sempre vissuto a bordo dello yacht, e ora non è tranquillo e sereno come prima, sente la mancanza della sua cameretta bianca e dei suoi spazi che lo hanno protetto fin dai primi giorni". Pensieri e parole di una certa Elisabetta Gregoraci, moglie di Flavio Briatore e madre del piccolo Nathan Falco. E' il pargolo di due mesi dunque che soffre la mancanza del rollio lieve del "Force Blue" (F.B. come Flavio Briatore?), una "barca" di 62 metri, quattro ponti e 12 persone d'equipaggio, sequestrata in questi giorni al suo proprietario dalla Guardia di Finanza con l'accusa di contrabbando e frode fiscale. Un dramma nel dramma dunque, con questo "erede al trono" che già deve assaporare le prime crudezze della vita, già immaginando quello che dovrà subire quando a sei anni con tanto di Rolls Royce e autista dovrà andare a scuola, ai 18 quando per regalo alla raggiunta maggiore età si troverà in garage una Porsche 911Carrera, e quando la prima ragazza, dopo il primo innocente bacio le chiederà "A Nathan, er'diamante addostà"? Ridiamo per non piangere dunque, e proprio per questo è già nato un gruppo su Facebook, dal titolo "Anch'io soffro lontano dal mio yacht" (foto) che nel giro di un paio di giorni ha già raggiunto oltre 3.400 iscritti, e dove i commenti "si commentano" da soli. Qui ne riportiamo alcuni di quelli più edulcorati:
Filippo Zanotti: "Anch'io soffro lontano dalla mia...canoa! Vai a lavorare Gregoraci!!! In miniera!!!"
Fernando Antonio Di Chio: " Ho la pelle d'oca al pensiero del trauma che hanno subito quei poveri...."
Carlotta Ughetta Rapaccini: "Ma quella cretina che se ne è uscita con questa frase, per sbaglio, ha mai visto un telegiornale? Non dico leggere i giornali, per carità, ma anche per sbaglio sa cosa c'è al di fuori del suo mondo? Ha un orizzonte culturale/sociale così limitato"?
Chiara Montanino: "Ma non è più probabile che il figlio di Briatore soffra perché ha capito di avere un nome di m. oltre allo yacht"?
Cristina Gorla: "Lui disoccupato, lei casalinga che ha perso il latte, sfrattati, con un bebè a carico...ma come si fa? Ridategli lo yacht please"!
Marco Momo Bernar: "Massimo rispetto, in un paese civile e con la crisi che avanza, nessuno meriterebbe di essere cacciato dal proprio yacht".
Veronica Andolfi: "E' davvero un ingistuzia povera creatura...e pensare che ci sono bambini che piangono per mere cazzate come la fame o le malattie...vai tranquillo Falco, i tuoi genitori si che sapranno insegnarti il senso della vita!!! Complimentoni alla famiglia"!
Per concludere, non c'è mai fine alla più bieca cialtroneria in quest'Italia di veline...

Denise, Angela e l'orco cattivo

Secondo i dati forniti da Telefono Azzurro, sono 222 i bambini scomparsi in Italia nei primi due mesi del 2010. Bambini in tenera età svaniti nel nulla, strappati all'affetto dei genitori, cancellati dalla faccia della terra. Molti di questi sono "rapiti" da uno dei due genitori, magari straniero, che ritornando al proprio paese di origine all'insaputa del partner si porta con sé il figlio facendone perdere le tracce, altri però -la maggioranza- spariscono per ragioni più drammatiche, nelle quali, come sostiene ancora Telefono Azzurro, c'è l'ombra della pedofilia, commercio di organi e vendita a comunità nomadi. Ieri, 25 maggio, nella giornata internazionale dei bambini scomparsi è ritornato d'attualità il caso di Denise Pipitone, (foto) scomparsa a Marzara del Vallo (TP) all'età di quattro anni il primo settembre 2004, e quello di Angela Celentano, (foto sotto) scomparsa sul Monte Faito (NA) il 10 agosto 1996 all'età di tre anni mentre era in gita con i genitori. Due piccoli volti emblema di questa tragedia che purtroppo accomuna molti altri casi mai risolti, come quello di Emanuela Orlandi, sparita a Roma anche lei nel nulla all'età di 15 anni il 22 giugno 1983. Genitori che vivono nell'angoscia e nell'attesa quotidiana di un segnale, in una speranza senza fine, e sono tanti, se pensiamo che ancora Telefono Azzurro dichiara che nel 2009 i bambini italiani svaniti nel nulla sono stati 1000, mille piccoli di cui non si sa più nulla da tempo. Ma se questi numeri denunciano la vastità della tragedia, ben più alto è lo sdegno nell'apprendere che i minori stranieri "volatilizzati" sono 1.903, con una media di 48 al mese, quasi due al giorno. Ora l'Europa si sta attrezzando per porre rimedio a questo stillicidio che neppure Erode avrebbe immaginato, mettendo a disposizione un unico numero telefonico per lanciare l'allarme, 116000, onde evitare perdita di tempo da parte delle polizie europee nell'intervenire. L'orco cattivo dunque va fermato, e in questo caso in molti sono per pene senza appello, tanto che recentemente, su una pagina web dedicata al problema, qualcuno ha scritto che per reati simili c'è una sola soluzione: pena di morte. E in molti hanno approvato. Parole dure dettate dallo sdegno e reazioni altrettanto dure per porre una barriera a questa mostruosità. Perché per una società che uccide i suoi piccoli non c'è futuro...

domenica 23 maggio 2010

Sangue, alle cinque della sera

Nell'arena forte è il boato della folla "a las cinco de la tarde", e i protagonisti sono lì, uno di fronte all'altro, l'uomo e il toro. Lui è Julio Aparicio, 41 anni, divo dei 'matador' spagnoli, l'altro è Opìparo, 530 chili di muscoli e corna. Strana sensazione di morte in agguato: aspetta solo di sapere su chi poserà il suo nero mantello in quest'antico rito che si rinnova, quello del coraggio contro la forza, della gloria o del dolore.
"La vacha del viejo mundo pasaba su triste lengua sobre un hocico de sangres derramadas en la arena"...

Qualcosa è andato storto l'altro giorno nell'arena, e il torero, vai a sapere perché, ha vacillato, è caduto. Opìparo, "banderillas" sul collo e sangue che colava ha notato lo smarrimento dell'uomo, la paura nei suoi occhi e ha capito che per lui era giunta la sua ora. Un colpo solo e l'ha trafitto dritto sotto il mento con un suo possente corno, tanto che la punta è fuoriuscita dalla bocca dell'uomo fracassando mandibola e lingua. Sangue "a las cinco de la tarde", e silenzio nell'arena, un silenzio di tragedia, di morte. Non ci sono applausi per Opìparo, ne esaltanti "olè", quando solleva il corpo dell'uomo appeso al corno come un pesce preso all'amo, ma solo silenzio...
"y los toros de Guisando, casi muerte y casi piedra, mugieron como dos siglos, hartos de pisar la tierra...".

L'umana pietà è logico che porti a sperare che Julio Aparicio, famoso torero spagnolo se la cavi al più presto, dopo il terribile "infortunio" -chiamiamolo così- subito nei giorni scorsi alla festa di San Isidro durante una sua esibizione nell'Arena "Las Ventas" di Madrid, nell'attesa che questo "rito assurdo" venga bandito una volta per tutte dalla faccia della terra...
(foto: il colpo fatale col corno che esce dalla bocca di Aparicio)

lunedì 17 maggio 2010

Morire in Afghanistan, morire perché?

Altre due croci italiane sulla via dell'Afghanistan. Sono quelle del sergente Massimiliano Ramadù, 33 anni di Velletri, e del caporalmaggiore Luigi Pascazio, 25 anni della provincia di Bari. Con loro, anche due altri commilitoni sono rimasti feriti, la soldatessa Cristina Buonacucina originaria di Foligno, e il caporale Gianfranco Sciré, 28 anni di Casteldaccia, in provincia di Palermo. Il fatto è avvenuto questa mattina alle ore 9,15 locali, quando una colonna di oltre 400 militari composta anche da soldati di altre nazioni, è caduta in un agguato sulla strada che da Herat conduce a Bala Murghab, zona nel Nord Est del Paese. Nella colonna, formata da dieci mezzi blindati, quello italiano, un Lince di ultima generazione, si trovava in quarta posizione, ed è proprio quello che improvvisamente è stato colpito dall'esplosione. E si ripete il triste rito delle bandiere a mezz'asta, dei funerali di Stato e dei discorsi ridondanti di retorica. Con tutto l'onore e il rispetto che dobbiamo tributare a queste due nuove vittime, troppe le domande che nascono: morire in Afghanistan, morire perché? Quali interessi nazionali difendiamo in quella terra senza pace? Quali fiori porterà il sangue versato per quella guerra lontana che tanto ricorda un Vietnam di antica memoria? Serve ancora restare là a far da cuscinetto tra armate che si odiano per ragioni politiche e religiose? Guerre lontane che non ci appartengono se non per "doveri internazionali" di cooperazione militare, guerre da rifiutare, da rispedire al mittente. Che siano le popolazioni interessate a risolvere i loro problemi, padroni a casa loro di guerreggiare e di morir se lo desiderano. Morire per difendere i propri confini può essere un motivo, ma là in Afghanistan, morire perché?
(foto da sinistra: Massimiliano Ramadù e Luigi Pascazio)

martedì 11 maggio 2010

E che il delinquente resti fuori...

Marco Langellotti, 56 anni, (foto) era in libertà vigilata. Alle sue spalle però aveva una bella carrellata di reati e 26 condanne che aveva iniziato ad accumulare fin dal 1979. E non erano neppure reati da prendere sottogamba: violenza sessuale su moglie e cognata, rapine in abitazioni, furti, spaccio di droga, omissione di soccorso, ricettazione, evasione, lesioni personali, tentata estorsione. Insomma, un delinquente da tenere in galera. Nonostante questo invece, il tipo era fuori, affidato ai servizi sociali grazie ad una legge colabrodo e magistrati irresponsabili. Difficile immaginare che un tipo del genere aiuti un'anziana signora ad attraversare la strada o lo si trovi a cantare nel coro della parrocchia, pertanto la vera indole del Langellotti si è ben presto rilevata. E' entrato in casa di una donna di cui si era invaghito -non ricambiato- e all'ennesimo rifiuto di questa ha aperto una tanica di benzina con la quale si era presentato e cosparso casa e spasimante di liquido infiammabile, poi, dopo "o mia o di nessuno" pronunciato alla donna, con un accendino ha scatenato l'inferno. A farne le spese la 31enne Alessia Melis e un amica che in quel momento si trovava in casa con lei. Fiamme dappertutto e le due donne che fuggono per strada urlando di dolore con i vestiti in fiamme, poi subito i pompieri e i carabinieri che giungono sul posto. L'energumeno intanto si da alla fuga, braccato dalle forze dell'ordine che lo hanno acciuffato ieri tra le giostre montate in occasione di una festa patronale a Lanzo. Basterà quest'ultimo exploit per toglierlo dalla circolazione o aspetteremo che qualche altro "buonista" in toga nera e ciondoli dorati lo rimetta in circolazione? Per le due donne, ustioni di 1° e 2° grado alle gambe e tanta paura... che anche questa volta il delinquente lo rimettano presto in circolazione...

venerdì 7 maggio 2010

La beffa del Moby Prince

Se non fosse per quei 140 morti carbonizzati, -uno solo si salvò, il mozzo Alessio Bertrand- la notizia di questi giorni sarebbe tutta da ridere: "Nessun colpevole per il disastro della Moby Prince" (foto). A distanza di ben 19 anni da quel tragico 10 aprile del 1991 quindi, la procura di Livorno ha infatti depositato la richiesta di archiviazione dell'inchiesta-bis sul grave incidente. Nessun colpevole dunque, seppure questo che è stato uno dei più gravi disastri della nostra marineria sia avvenuto non in pieno oceano, ma a poche miglia di distanza dalle coste livornesi, dato che il traghetto era salpato dal porto di Livorno un attimo prima. Erano le 22,03 del 10 aprile 1991 quando il traghetto Moby Prince in servizio di linea tra Livorno e Olbia si staccò dal molo labronico con a bordo 65 uomini d'equipaggio agli ordini del comandante Ugo Chessa, e 75 passeggeri. Neppure 20 minuti dopo il tragico impatto, con la prua del traghetto che si infilava nella fiancata della petroliera Agip Abruzzo, ferma alla fonda fuori dal porto, perforando la cisterna numero 7. "May day...may day... Moby Prince...siamo in collisione...siamo in fiamme...occorrono vigili del fuoco...se non ci aiutate prendiamo fuoco...may day...may day..." Una richiesta d'aiuto lanciata dal marconista del traghetto alla Capitaneria di Porto, un drammatico messaggio che si perse nel suono gracchiante della radio. Come mai non ci fu l'allerta? Dice che ci fu un calo di potenza nel trasmettitore tanto da non far capire bene il messaggio dal ricevente. Ma come è possibile non accorgersi di una nave che stava bruciando a poche miglia dalla costa? Quei bagliori sul mare ormai li vedevano in tanti: "Dalla finestra di casa mia sul viale Italia vedevo sul mare un grosso bagliore che mi faceva capire che qualcosa di tragico stesse accadendo" dirà un testimone residente sul lungomare cittadino. Una tragedia sotto gli occhi di tutti meno che delle squadre di soccorso. Un rimpallarsi responsabilità che non ha portato a niente, se non ad un infinità di processi, corsi e ricorsi per sentire dire alla fine, "nessuno è colpevole di questo immane disastro". Già dieci anni fa si era chiusa un inchiesta con lo stesso risultato, ovvero nessuna responsabilità degli imputati, l'ufficiale di guardia dell'Agip Abruzzo, due ufficiali della Capitaneria e un marinaio in servizio nella sala operativa. Oggi questa nuova richiesta di archiviazione che lascia tutti, parenti in primo luogo, sbalorditi. Una vergogna recitata senza dignità sulla pelle di 140 vittime.