venerdì 29 gennaio 2010

L'Isola... dei penosi


La Valle d'Aosta come set di "ambientamento" per i concorrenti dell'Isola dei Famosi. Come dire fare un esercitazione di sopravvivenza nel Sahara prima di partire per una spedizione al Polo Nord. E lo scontro di opinioni scoppia in Valle d'Aosta, con una parte degli abitanti che contesta quei 45.000 euro offerti dall'assessore regionale al Turismo Aurelio Marguerettaz alla società produttrice per far si, appunto, che la Valle d'Aosta si "aggiudichi" il soggiorno dei 10 concorrenti oltre a 35 tra tecnici e assistenti. Lo scopo, tutto sommato sarebbe "dar visibilità alla Valle d'Aosta nei media nazionali", poiché come assicura la produzione -Magnolia- anche una trentina di giornalisti sarebbero al seguito della troupe con corrispondenze giornaliere su varie testate nazionali. Incrementare il turismo attraverso "L'Isola dei Famosi", quindi, grazie ai suoi personaggi. Ma chi sono? A dire il vero non è che siano al top del loro successo, poiché -diciamolo francamente-, molti di questi stanno camminando da tempo sul cosiddetto "viale del tramonto", mentre per altri il tramonto non ha mai preceduto una giornata di sole. Guardiamo dunque da vicino chi sono: Nina Senicar (?); Claudia Galanti (?); Sandra Milo (Wow!); Pamela Prati ;-)))); Ilona Staller ;-))); Aldo Busi (evvabbè); Daniele Battaglia (??); Roberto Fiacchini (???); Denis Dallan (?) e Luca Ward (?!). Più che concorrenti all'Isola dei Famosi, direi di sconosciuti naufraghi. A questo punto come non poteva mancare Facebook? E' qui infatti che sono nati gruppi "spontanei" di contestatori a questo -secondo loro- "spreco di danaro pubblico", tanto che in breve tempo, ben 1300 valdostani contrari a questa cosa si sono subito iscritti facendo sentire la loro voce: "Spendiamoli meglio questi soldi!!!" Certo, si poteva optare per qualcosa di più... -culturalmente parlando-, confacente con la tradizione turistica valdostana, ovvero quando le vallate erano percorse -come si legge sui blog locali- dal "fior fiore della cultura italiana" e non da stelline e meteore. A chi dare ragione dunque? Chissà, a seguire i format televisivi si può anche ...sbandare, perché proporre come testimonial "vallette televisive, ex porno star, sconosciuti figli di papà e artisti in caduta libera", beh, c'è da arricciare il naso. "Mandiamo ad Haiti quei 45 mila euro" propone qualcuno. Beh, sicuramente questa scelta non porterebbe turismo, ma una volta tanto sarebbero soldi spesi bene....

giovedì 28 gennaio 2010

Il Giorno della Memoria

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Riepetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Se questo è un uomo
Primo Levi
-Giulio Einaudi Editore-

sabato 23 gennaio 2010

La calata degli Unni

Si arriva in Italia per cambiare vita, ma soprattutto, per cambiare la situazione economica. Se il lavoro c'è, bene, altrimenti ogni mezzo è lecito per raggiungere lo scopo. E' un po' questo lo spirito con cui certi stranieri affrontano la vita in casa nostra, divisi tra un lavoro precario oggi e un espediente domani, sempre sull'orlo di una china senza fondo. Ed è proprio uno di questi che due giorni fa è salito "agli onori" della cronaca nera per un omicidio avvenuto a Taranto, e dove vittima innocente è un'altra diseredata, una clochard italiana di 42 anni, derubata, stuprata e uccisa per 5 euro. Originaria di Bari, Filomena Rotolo -questo è il nome della vittima-, era una senzatetto che per dimora aveva scelto un capannone abbandonato nei pressi della stazione ferroviaria di Taranto. Sporcizia in giro e desolazione, ma in un angolo di questa enorme e fatiscente struttura, Filomena aveva ricavato una nicchia tutta per se, contornata da cartoni e sacchi di plastica dentro ai quali teneva le sue povere cose. Viveva di elemosine e piccoli espedienti Filomena, però mai era incappata nelle maglie della polizia. Domenica scorsa 17 gennaio, col primo buio e con il termometro che crollava sullo zero, Filomena si è ritirata nel suo angolo, un panino, un sorso d'acqua, una sigaretta trovata chissà dove e poi, per ripararsi dal freddo, si è sdraiata su quel materasso di cartoni sovrapposti e si addormentata, coperta da fogli di giornale e stracci consunti. Nella notte, qualcuno le si è avvicinato, l'ha colpita violentemente con una ferocia animalesca e l'ha violentata. Una volta soddisfatti i propri turpi desideri, la belva ha arraffato il telefono cellulare della donna e i pochi spiccioli che questa aveva in tasca: 5 euro. A questo punto, il suo carnefice si eclissato nella notte. Solo la mattina seguente qualcuno ha dato l'allarme e un ambulanza arrivata velocemente sul posto ha portato Filomena al più vicino ospedale. La donna presentava una gravissima anemizzazione per il sangue perso sia dalla bocca che dalle parti intime, e inoltre aveva un trauma addominale e toracico, infrazioni costali e contusioni su più parti del corpo. L'ultimo fiato, Filomena lo ha speso per dire ciò che le era successo e per dare indicazioni sul suo aggressore, poi è spirata. Per la polizia, subito messa sulle tracce dell'assassino non è stato difficile acciuffarlo. Si tratta di un bulgaro di 31 anni, irregolare in Italia e già destinatario di un decreto di espulsione. A cosa serve ora chiedersi perché questo delinquente sia stato lasciato gironzolare in Italia invece di essere spedito a casa sua, perché se così fosse stato, Filomena Rotolo, 42 anni, italiana, pur nella sua miseria oggi sarebbe ancora viva. Un nuovo tributo di sangue dunque, lungo la strada di questa integrazione senza senso e firmata dall'ennesimo "irregolare con decreto d'espulsione". Quante Rosarno ci vorranno ancora prima di arrivare ad un integrazione ragionata?

venerdì 22 gennaio 2010

David Beckam... era solo un pacco...

Grazie Elena Di Cioccio per aver rivalutato -e salvato!- la mascolinità degli uomini italiani! Eh si, se non fosse stato per questa Iena televisiva -tra l'altro, figlia d'arte avendo avuto i natali dal grande Franz, mitico batterista della PMF-, chi di noi avrebbe avuto ancora il coraggio di considerarsi "tombeur de femmes" dopo aver visto, anni fa, la gigantografia di David Beckam in mutande (foto) e con tanto di "biglietto da visita" in bella mostra? A dire il vero quel "popò di pacco" ci era sembrato un tantino sproporzionato, sebbene la moglie del "divino David" avesse elogiato in varie occasioni le "doti" -leggasi: misure- del marito. Nel dubbio però, al cospetto di cotanta merce, ci eravamo sentiti degli italiani "piccoli piccoli", sia nel morale che nel senso lato. L'altra sera però, al nostra Iena salvifica -mai termine fu più appropriato!- ci ha reso giustizia, assicurandosi di mano, se le cose stavano veramente così. E il risultato è stato un urlo liberatorio: "E' piccolo! Non ce l'ha grande!". Una verità che ha gettato il "divino" nel più cupo sconforto, e il suo sguardo di odio verso la Iena è stato più che eloquente. Avrebbe potuto ribattere "si, ma solo perché Arturo è in fase di riposo", mentre invece, scoperto l'inganno, l'ex divino ha preferito rifugiarsi nella sua macchina e fuggire come un ladro, inseguito per di più dalla Iena Elena che impietosamente gli urlava dietro "Come hai osato farcelo credere! Non è grosso, è piccolo!" Sembra che questa "verità" lo abbia prostrato più di una sconfitta del Milan per 5 a zero, tanto che i compagni di squadra, visto la crisi in cui è precipitato colui che si credeva Rocco Siffredi, hanno fatto quadrato intorno a lui per proteggerlo. Un altro mito in frantumi dunque. Grazie Elena Di Cioccio, poiché adesso, noi uomini "normali," potremo finalmente togliere quella fastidiosa imbottitura che da tempo portavamo dentro le mutandine per dimostrare che anche noi non eravamo secondi a nessuno. Ne tanto meno a David Beckam e al suo "pacco", che come abbiamo visto, grazie a te, era infatti solamente... un pacco.

mercoledì 20 gennaio 2010

Tu chiamala, se vuoi... integrazione

Sono oltre 2000, in Italia, le bambine spose, spesso minorenni, che per volere della famiglia sono costrette a ritornare nel loro paese d'origine per sposarsi. Nozze imposte e combinate tra "clan" familiari, e primi in questa riluttante usanza sono indiani, pachistani e marocchini. Almas (foto) invece, la 17enne pachistana "che vuol vivere all'italiana" e per questo picchiata e sequestrata dal padre, non seguirà questa barbara usanza, ma sposerà chi vuole e soprattutto, quando lo vorrà. Di lei si erano perse le tracce alcuni giorni fa, quando suo padre, tale Akatar Mahmood, 40 anni e di professione ambulante, l'aveva "rapita" all'uscita di scuola. Almas, infatti, era stata tolta alla famiglia e affidata ad un centro d'accoglienza, dopo che il padre l'aveva riempita di botte spedendola all'ospedale. Motivo? Non sopportava lo stile di vita all'occidentale della figlia, cioè di amare la vita, vestire all'occidentale, di essere libera di pensare e di agire. Tutto l'opposto di ciò che lui avrebbe voluto, ovvero, casa, silenzi e assensi. Come il matrimonio che le aveva programmato. Dopo l'allontanamento d'ufficio, il sequestro davanti alla scuola per portare avanti il suo disegno, complice la madre e un altro familiare. L'allarme è subito scattato, e le forze dell'ordine hanno immediatamente dato il via alle ricerche in tutta Italia. Ricordando tragici avvenimenti, si è temuto per la sua sorte. Il desiderio di vivere all'italiana costò infatti la vita a Hina e Sanaa, anche loro ribellatesi ad un padre padrone -diventato carnefice- per il solo motivo di essersi innamorate di due italiani. La storia di Almas, fortunatamente, ha avuto un lieto fine, quando ieri la polizia ha bloccato l'auto sulla quale si trovava la ragazza e i familiari. Per lei la libertà, mentre il padre è finito in galera con l'accusa di sequestro di persona, accusa estesa anche alla madre e al parente. Una barbarie in casa nostra, un insidia strisciante per migliaia di giovani straniere -soprattutto provenienti da paesi islamici- combattute dalla libertà di vita "all'occidentale" e i dettami della legge del clan. "A 15/16 anni, quando si sviluppa lo spirito critico e la ribellione" dice Khaled Fouad Allam, docente di Sociologia del mondo musulmano all'Università di Trieste-, gli si impone di essere moglie e madre. Molti casi del genere, in Francia, si sono conclusi con il suicidio delle ragazze".

lunedì 18 gennaio 2010

HAITI: MUORI RAGAZZO, MUORI...

L'imponente nave, in perfetto orario, è arrivato a largo di Labadee alle ore 7 del mattino di venerdì scorso, 15 gennaio. Nelle lussuose sale, nel frattempo la colazione è servita: Caffè, latte, tea, cioccolata. Croissant caldi, frutta fresca, spremute, e poi uova e prosciutto, formaggi francesi e torte del mattino a scelta, con crema, senza, cioccolata e zabaglione. Qualcuno prenota il minigolf per le ore 10, chi si iscrive al torneo di bridge del pomeriggio e chi, reduce dai bagordi della sera precedente, preferisce cambiare menù del pranzo sostituendo l'eccessivo "filetto alla senape in grani" ad una più leggera "Aragosta" con uova sode e pomodorini crudi. La bianca sagoma del transatlantico, 13 piani sul mare, 4375 cabine, 10 ristoranti, 16 bar, piscine su ogni piano e suite da 110 mq si staglia tra le insenature più belle e naturali di quel paradiso caraibico. Che quella sosta avvenga a sole 60 miglia dall'epicentro del terremoto di Haiti -140.000 morti ad una prima stima-, per i croceristi è solo un noioso e inopportuno dettaglio. C'era in previsione una pittoresca escursione sull'isola ma si dice che non potrà avvenire causa terremoto, negozietti distrutti, cadaveri per le strade, polvere dappertutto e un tanfo di morte nell'aria che toglie il respiro... Ci voleva anche questo, dato che il prezzo della crociera è di 2000/ 4000 euro a testa "bevande escluse"... Muori ragazzo, muori...

lunedì 11 gennaio 2010

GIORNALISMO: REALTA' E RETORICA

"Alla fine, Abrham Roberts s'è chinato sul paracarro numero 17 della statale 106 e ha vomitato". Non è la fine di un thriller dell'irlandese John Connaly, ed anche il luogo dove si trova quel paracarro sul quale tale Abrham -ma chi è costui?- ha scaricato lo stomaco non si trova lungo una strada del profondo West americano. Siamo a Rosarno, terra calabrese, e questa è la "stupefacente" apertura di una corrispondenza di Pierangelo Sapegno pubblicato su La Stampa di domenica scorsa. Si parlava della violenza scatenatasi a Rosarno, neri sfruttati, neri che protestano sfasciando tutto lo sfasciabile e reazione dei calabresi alla distruzione. Del problema che ha scatenato la rivolta, di quei due soldi di paga e condizioni di vita disumane di questi stranieri, nemmeno l'ombra, solo la puntualizzazione del luogo dove un extracomunitario -magari clandestino- ha deciso di svuotare lo stomaco, e cioè "esattamente" sul paracarro numero 17. E non al 13esimo, e neppure al 10ecimo, ma proprio al 17esimo. Giornalismo ad effetto, con la recidività del giorno dopo, quando questa volta il nostro Sapegno racconta di un certo Ahamadu al quale ha dato un passaggio in auto. Al pari del "vomitatore", anche questi scappa "dall'inferno" di Rosarno, e in auto, durante il viaggio "sulla Salerno-Reggio, l'autostrada del nulla, perché anche questa è Italia"(?), Ahamadu parla di Dio, canta una canzone di Jovanotti trasmessa in quel momento dalla radio, e poi -il pathos fa sempre effetto- ammette "Vorrei stringere mia madre, i miei fratelli, il mio vecchio, e poi, piangere". Rosarno, 1200 clandestini su una popolazione di 15.000 anime. Terra di 'ndrangheda, d'accordo, ma anche di gente onesta, che come ha detto in vari telegiornali, "è stanca di sentirsi assediata, di non essere più libera di uscire per strada e di stranieri ubriachi che alla sera si pestano e tengono in scacco la città". Di tutto questo non se ne parla, e la retorica "del nero malvisto" si spreca. Speriamo ora che il "paracarro 17" non diventi famoso come il palo dei lucchetti di Moccia, altrimenti sarebbe un bel guaio per chi vi abita vicino...

venerdì 8 gennaio 2010

MINA: QUANDO LA CULTURA E' SNOB.

Anche i miti, a volte, ruzzolano giù dall'Olimpo, e in questo caso mi riferisco a Mina, ammiratissima come cantante ma poco come editorialista. Si, perché ho sempre pensato che la cultura, intesa come arte scritta o pittorica, sia patrimonio mondiale, e non appartenga ad una ristretta cerchia di snob con la puzza sotto al naso. Pietra "dello scandalo" in questo caso è la partecipazione di Dustin Hoffman (foto) allo spot realizzato dalla regione Marche, dove slogan finale è una voce fuori campo che dice "Le Marche le scoprirai all'infinito". E quell'Infinito altro non è che una delle più belle poesie di Giacomo Leopardi, con quel suo "Sempre caro mi fu quest'ermo colle". Certo in lingua italiana, Hoffman non potrà mai competere con un Albertazzi o con un fu e sempre amato Vittorio Gassman, poiché nello spot la poesia è narrata con accento angloamericano, oltre a pause e ripetizioni come voluto da copione. Ed è qui che entra in campo la nostra grande -come cantante- Mina, la quale nella sua domenicale rubrica sulla Stampa, afferma -irrispettosa tra l'altro nei confronti del grande attore americano vincitore di Oscar- che al suo posto "sarebbe andato benissimo anche Oliver Hardy, al quale, paradossalmente, in questa demoralizzante 'performance', mi sembra che assomigli. Non so come l'avrebbe fatta Ollio, non peggio, credo". Per Mina dunque, "L'Infinito" di Giacomo Leopardi "è cosa nostra", e guai a chi osa cimentarsi delle sue sublimi rime, perché se la cadenza non è giusta e l'incedere è incerto, è oltraggio di lesa maestà, che in questo caso se ne fa paladina la nostra ex urlatrice. Come se ad un nostro attore fosse precluso la possibilità di cimentarsi nel più classico Shakespeare, ovvero quel "To be, or not to be: that is the question, Whether 'tis nobler in the mind to suffer, The slings and arrows of otrageous fortune, Or to take arms against a sea of troubles..." C'è poi, forse, anche un po' di acredine nelle parole di Mina, poiché bolla il tutto con "gli avranno dato una paccata di soldi , quindi, perché dire no"? come se a lei, Tassoni o Barilla non l'avessero foraggiata ben bene nei momenti di gloria, aggiungendo infine che "il mondo della pubblicità è un mondo di matti". Snobismo puro, protezionismo lezioso di una poesia "patrimonio del mondo" e non solo di Mina , per cui "Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare". L'avrò scritta bene?.....

giovedì 7 gennaio 2010

HACHIKO, LA STORIA DI UN CANE.

Hachiko, uno splendido cane di razza Akita non potrà mai sapere quanto importante sia stata la sua esistenza. Del resto, a lui non importava nient'altro che una rassicurante carezza del suo padrone, addormentarsi ai piedi del suo letto e seguirlo durante la giornata. Hachiko era un esemplare maschio di pelo bianco ed era nato in una fattoria di Odate (Giappone), il 10 novembre del 1923. Il destino a volte disegna percorsi di vita indecifrabili, tanto che non si sa come, Hachiko all'età di due anni finì sotto gli occhi benevoli di un professore universitario, tale Hidesaburo Ueno, residente nel dipartimento di Tokyo. Fu un amore a prima vista, tanto che Hachiko, trasferitosi a casa del suo nuovo padrone, ne diventò ben presto la sua ombra. Essendo un 'pendolare', ogni mattina Hachiko imparò così ad accompagnare il suo padrone alla stazione del treno, ritornandovi infine nel pomeriggio per attenderlo al suo ritorno dalla giornata lavorativa, e questo andò avanti giorno dopo giorno, anni dopo anni, senza mai un ritardo, senza mai un assenza. Il 21 maggio del 1925, Hidesaburo Ueno fu colpito da un ictus mentre stava insegnando all'università. Trasportato all'ospedale, morì poco dopo il suo ricovero. Alle tre di quello stesso pomeriggio, come al solito Hachiko lo attese alla stazione di Shibuya. Fissando come sempre l'uscita, quella volta non lo vide arrivare. Attese a lungo, poi, a sera, se ne tornò a casa, ma il giorno dopo, sempre alle tre precise, fu di nuovo lì, e così continuò a farlo per quasi dieci lunghissimi anni. Non passò di certo inosservato quel cane, tanto che il capostazione e le persone che tutti i giorni prendevano il treno cominciarono ad accudirlo, offrendogli cibo e riparo. La commovente storia di Hachiko, simbolo di amore e fedeltà ben presto fece il giro del Giappone, tanto che molte persone cominciarono a recarsi a Shibuya solo per vederlo, accarezzarlo, mentre lui, seduto come sempre a due passi dalla stazione, scrutava l'uscita nella speranza di vedere arrivare il suo padrone. L'8 marzo del 1935 e all'età di 12 anni, Hachiko morì di 'filariasi', ma un anno prima, nel '34, nell'aiuola dove lui attendeva da anni il ritorno del suo padrone, venne realizzata dallo scultore Teru Ando una statua in bronzo con le sue sembianze, e Hachiko fu presente all'inaugurazione. La notizia della sua morte apparve su tutte le prime pagine dei giornali, e quello fu dichiarato 'giorno di lutto'. Il suo corpo, preservato tramite 'tassidermia', è tuttora esposto al Museo Nazionale di Natura e Scienza situato a pochi chilometri dalla stazione, mentre alcune sue ossa sono state sepolte accanto alla tomba del professor Hidesaburo Ueno nel cimitero di Aoyama. L'8 marzo, in Giappone, ogni anno si celebra il ricordo di Hachiko, dove molte persone con i loro cani si recano in pellegrinaggio sulla sua tomba per rendergli omaggio. Un amore senza limiti e senza tempo, e che ora, attraverso il film "Hachiko, a dog story" del regista svedese Lasse Hallstrom, con Richard Gere, questa storia stupenda farà di nuovo il giro del mondo. A 75 anni anni dalla morte di Hachiko. (foto: esemplare di Akita impiegato nel film)

sabato 2 gennaio 2010

LA TROTA VENUTA DA MARTE...

Alterazione genetica o pesce alieno? Fatto sta che la sorpresa è stata forte, quando tirato fuori dal frigo una trota per metterla in padella, ad un attento esame qualcosa mi ha colpito. Si, guardando bene il pesce qualcosa non quadrava, poi, ho capito: la trota aveva due bocche, una... "regolamentare" e sotto questa, un'altra, con tanto di apertura e denti (foto) . Una trota mostro dunque, che dopo averla fotografata è finita nel cestino dell'immondizia, e dato il disgusto, cambio repentino di menù per il pranzo. Non so cosa dire, ma di certo so che questa trota è stata pescata in un corso d'acqua valdostano, uno dei tanti che scorrono in questa regione, quindi i casi sono due: modificazione genetica naturale o alterazione dovuta a inquinamento ambientale? Che si sappia: si sono già riscontrati casi simili? Se così fosse, una risposata sarebbe utile...