domenica 31 maggio 2009

SONO SOLO CANZONETTE?

"Mamma mia" degli Abba (foto) è la sua canzone preferita e lei è uscita dal coma proprio al ritmo del celebre successo degli anni Settanta, rilanciato dal musical con Maryl Streep. Una bambina inglese di 3 anni ,Layla Towsey, ha lasciato di stucco i genitori e medici dell'ospedale londinese Saint Mary's uscendo dal coma in cui era caduta cinque giorni prima cantando la canzone più amata. "L'ho sentita che cantava 'Mamma mia' a voce bassa e non ci potevo credere, quasi svenivo dall'emozione" ha raccontato la 23enne mamma Katy. La piccola Layla si era ammalata un mese fa e aveva avuto un attacco cardiaco un paio d'ore dopo essere stata ricoverata per un rush cutaneo. Quindi il terribile verdetto: meningite B e setticemia meningococcica. Katy Towsey dice adesso senza mezzi termini che la guarigione della figlia è un miracolo. Ha già organizzato una festa nel suo giardino il cui ricavato -quasi 250 sterline- andrà a favore della campagna per la ricerca di un vaccino contro la meningite B. (Il Giornale)

lunedì 25 maggio 2009

IL MISTERO DI LOLITA...

E' osceno assistere a quello che sta succedendo in questi giorni a livello politico, poiché l'Italia, da un po' di tempo, sta vivendo di gossip parlamentare. Il tutto, volto nel pruriginoso mistero se un maturo presidente si sia fatto una verginella 18enne. Dove non c'è una base di serietà politica arriva il gossip, sul quale si sono buttate anche le testate straniere, con fraintendimenti linguistici e rettifiche con tanto di scuse, magari espresse con risarcimento danni per la parte chiamata erroneamente in causa. Quello però che più disgusta, è che su questa storia di sesso -falsa o reale che sia-, ci si sono buttati a capofitto gli esponenti politici dell'opposizione, nella speranza -visto come sono andate le cose alle ultime elezioni di governo- di poter riacciuffare il comando grazie ad alcuni peli di 'bernarda' persi in qualche alcova da 'mille e una notte'. Al di là del fatto che ognuno, nella sfera privata è libero di fare ciò che vuole, non vedo perché tutto questo debba creare una crisi istituzionale, interrogazioni in Parlamento e richieste di dimissioni, in special modo richieste da un Dario Franceschini che di questo gossip ne ha fatto un suo cavallo di battaglia. Perché dunque, dare certezza ad un fatto che "certo non è"? Perché combattere l'uomo e non scontrarsi invece su tematiche politiche e programmi? Non so in che Italia viviamo, ma sono sicuro che certamente non è quella del popolo, quell'Italia che di politica così ne ha le tasche piene, di quell'Italia ben lontana da personaggi politici di sinistra che una volta, pur all'opposizione, mai si sarebbero sognati di cercare lo scandalo per salire al potere. Ve lo immaginate un Enrico Berlinguer, per esempio, andare nelle piazze italiane e dire "eh no, non si scopano le diciottenni, pertanto il nostro presidente del Consiglio - chissà, magari poteva essere a quei tempi un Andreotti- deve venire in aula a spiegarcelo cosa è successo sotto le lenzuola quella sera dell'ultimo dell'anno". Ridicolo, come ridicoli sono gli articoli apparsi su Repubblica, Corriere della Sera e altre testate ancora, dove si è sparato tutto il marcio inimmaginabile, dalla possibilità -in prima istanza- che la 18enne in questione possa essere stata una figlia nata da una relazione con la madre della stessa, e infine, una delle tante bambolotte che finiscono nel letto dei potenti nella speranza di afferrare il successo nella vita. Eccola qui dunque la "nostra Italia", al bivio di una crisi istituzionale a causa di un mistero che invece dovrebbe trovare spazio esclusivamente su una rivista 'gossipara', se non fosse che anche in politica -nell'opposizione in questo caso- si fa oro di un antico e volgare detto, che aggiustato alla bisogna, recita che "tira più un pelo di gnocca che milioni di voti persi"...

venerdì 22 maggio 2009

PRENDI I SOLDI E SCAPPA...

Francamente, diciamocelo con onestà: che cosa faremmo se un giorno, sul nostro conto corrente bancario, tra mutui in attesa e saldi sempre più miseri, così, svogliatamente dandogli uno sguardo frettoloso, si scoprisse invece che siamo in attivo di ben 4 milioni e mezzo di euro? Si, ho detto "in attivo di 4 milioni e 500 mila euro", tanti quanto bastano per vivere il resto della vita senza far niente e con la pancia al sole in un isola tropicale. Beh, dopo il primo sbigottimento al limite di un attacco di cuore, uno direbbe subito "è un errore", e pur se a malincuore, correrebbe dritto in banca per segnalare l'anomalia e tutto, magari col sorriso bonario del direttore, si risolverebbe in un attimo, dopo una tirata d'orecchi al distratto impiegato. Leo Gao e Cara Young -una coppia neozelandese- hanno invece preferito agguantare per i capelli l'inaspettata fortuna, e passati all'incasso -si sono però accontentati della metà- sono spariti nel nulla. Il tutto comincia con una richiesta di fido fatta alla loro banca, la Westpac di Roturoa, cittadina 450 chilometri a Nord della capitale Wellington. Proprietari di un distributore di benzina, i due avevano chiesto infatti un fido di 10 mila dollari neozelandesi (circa 4,400 euro), poi, alcuni giorni dopo, controllando se l'operazione era stata fatta, scoprono che un maldestro impiegato aveva assegnato loro un importo mille volte superiore, grazie a quei tre zero battuti oltre misura. Da onesti lavoratori a novelli Bonnie & Clyde il passo è stato breve, il tutto segnalato appunto da un cartello scritto il giorno dopo in fretta e furia e lasciato sulle pompe di benzina: "Chiuso per ragioni amministrative". C'è chi li fa in Cina e chi in Corea a vivere l'avventura, fatto sta che uno squadrone dell'Interpol -dopo che è stato spiccato un mandato d'arresto internazionale- si è messo subito sulle loro tracce. Sul fatto, il quotidiano New Zealand Herald ha lanciato un sondaggio tra i lettori cercando di sapere che cosa avrebbero fatto loro in una situazione simile. La maggioranza delle risposte la dice lunga: "Corri Leo, corri! Le banche se lo meritano!" Ecchediamine! Anche l'onestà ha un prezzo...

giovedì 21 maggio 2009

IL BAMBINO DI KABUL

Bloccare gli immigrati e riportarli al luogo di partenza, più che doveroso, è umano. Doveroso perché esistono delle leggi chiare e precise in fatto di immigrazione, umano perché si tronca il nauseabondo mercato dei trafficanti di povera gente. Vere e proprie attività di criminali internazionali hanno in mano, da anni, questo lucroso business, un business fatto sulla pelle della povera gente, di disperati pronti a tutto pur di fuggire dalla loro terra, e dove spesso, sogni e bisogni spariscono con loro nella profondità del Mediterraneo. Mohammad, un bambino afghano di otto anni, pur nell'ingenuità della sua età, ne sa qualcosa di questi viaggi verso "l'Eldorado", che poi di "dorado" non hanno proprio nulla. 6.000 dollari ai traghettatori e un odissea lunga sei mesi per arrivare a Venezia, dove alla fine è stato scovato dalla polizia di frontiera italiana nascosto sotto le casse di un Tir. Lui almeno ce l'ha fatta ad arrivare vivo, ma questo, per i trafficanti, è un dato secondario, poiché per loro conta solo intascare soldi. E a vedere dai numeri, sono tantissimi, se pensiamo che solo a Venezia, 1.742 sono state le riammissioni di stranieri irregolari e 59 i respingimenti alla frontiera. Con le nuove leggi sull'immigrazione varate recentemente in Italia dal governo Berlusconi, si nota però un certo calo negli arrivi di immigrati irregolari, un dato, che fa sostenere -come si scrive su La Stampa di oggi- che "l'Italia non tira più, poiché diventato paese ostico, in crisi e sull'orlo di una xenofobia montante". Stravolgere la situazione, ecco, qualcosa che mi ricorda un antico proverbio, quello del "Non guardare il mio dito quando indico la luna"...

sabato 16 maggio 2009

ARIA E CITTA' DA SBALLO...

Mi ricordo di un amico, che al ritorno da una lunga vacanza in Spagna, più precisamente a Barcellona, mi raccontava di quanto benessere trovasse passeggiando per la Rambla, quasi un senso di euforia, che continuava a provare anche ritornato in Patria. Certo, Barcellona e la sua gente danno allegria, e poi, le spagnole... Ora invece capisco appieno quelle sensazioni provate dal mio amico, e le ragioni arrivano addirittura da uno studio effettuato dal Csic spagnolo, l'equivalente del nostro Cnr (Consiglio nazionale di ricerca): L'aria di Barcellona e Madrid è inquinata dalla cocaina. E lo spiega ancora meglio: Nei test effettuati, i residui di polvere bianca finiti nelle fogne equivalgono a 70mila dosi giornaliere. E andando nello specifico, da questi esami risulta che nell'aria delle due metropoli spagnole, fluttuano alla stregua del polline, ben 17 composti appartenenti a cinque droghe: cocaina, anfetamina, oppiacei, cannabinoidi e acido lisergico (Lsd). Ma come siamo riusciti ad individuare questi composti? Semplice, attraverso delle normali centraline per il rilevamento dello smog sistemate in diversi punti delle due città, dove grazie a particolari filtri, si è scoperto così che nell'aria di Barcellona viaggia una media di 210 picogrammi di cocaina (un pgr corrisponde ad un miliardesimo di milligrammo), una quantità che arriva addirittura a quadruplicarsi nei week-end. A Madrid invece siamo come media sui 480 picogrammi, con una forte presenza rilevata dalle centraline anche di 143 pgr di eroina. Come mai questo? La risposta, secondo gli esperti, deriva dal fatto che nella capitale spagnola questa droga si fuma, mentre a Barcellona si tende ad usarla tramite vena. Siamo tutti 'dopati' quindi? C'è poco da scherzare, perché da recenti studi eseguiti anche in Italia poco tempo fa, si scoprì che dall'analisi delle acque fognarie di Milano, un milanese su 100 fa uso di cocaina, mentre a Roma, in uno studio del 2007, risultò una concentrazione di cocaina nell'aria pari a 100 micogrammi. E a Londra? Due anni fa si scoprì che nel 99,9% delle banconote -vale a dire quasi la totalità!- vi erano presenti tracce di cocaina. Per concludere? Il mio amico, che non ha mai fumato in vita sua una sigaretta di monopolio e che le droghe non sa neppure cosa siano, è un eterno turista di queste città, dove l'aria, a sentir lui, ha il potere afrodisiaco...

sabato 9 maggio 2009

SANREMO: NEMMENO I CANI MUOIONO COSI'

SANREMO - E' morto nella più totale indifferenza Bruno Fazzini, l'ex panettiere sanremese di 47 anni, rinvenuto sanguinante sul pianerottolo di casa dopo una rovinosa caduta sulle scale. Morire nel deserto della città dunque, tra profumi di cibi etnici e parole incomprensibili, in una palazzina di tre piani situata nel vecchio centro di Sanremo e occupata ormai in buona parte da stranieri filippini, "una decina per piano", come aggiungono le cronache locali. Verso le undici di sera di giovedì scorso, Bruno Fazzini, sicuramente alticcio, saliva a fatica la rampa delle scale quando improvvisamente, secondo la ricostruzione della polizia, cadeva all'indietro battendo violentemente la testa. In una posizione scomposta, giù all'inizio della rampa, Fazzini sarebbe rimasto in coma profondo per circa dieci ore. In molti tra i residenti di quel 'vespaio' lo hanno visto, e avranno notato anche una pozza di sangue sul pavimento, ma nonostante ciò, nessuno ha fatto niente, e scavalcando addirittura quel corpo agonizzante, ha tirato lungo per la propria strada, pensando -vigliaccamente- al solito ubriaco che dorme. Nessun buon samaritano dunque per Bruno Fazzini, se non l'ex compagna, che la mattina dopo, allarmata dall'insolito silenzio, si è recata a casa dell'uomo, trovandolo -ormai troppo tardi- ancora riverso sulle scale. Trasportato all'ospedale Santa Corona di Pietra Ligure in condizioni disperate, Bruno Fazzini è morto nella tarda serata di venerdì per la frattura della base cranica e per il lunghissimo mancato soccorso. Si muore anche così nella 'televisiva' Sanremo, la cosiddetta città dei fiori...

venerdì 8 maggio 2009

ITALIA, VENTRE MOLLE D'EUROPA

Io ritengo che ci sia un disegno vero e proprio da parte delle altre nazioni europee, nell'accusare l'Italia di razzismo. E mi spiego. Siamo razzisti se -finalmente!- prendiamo iniziative contro la delinquenza straniera, lo siamo se tentiamo di fare un anagrafe dei bambini rom e siamo razzisti ancora se decidiamo di rispedire al mittente i barconi carichi di profughi. Decretare poi che un clandestino in attesa di riconoscimento rimanga nei Cie. (centri di identificazione ed espulsione) per 2/6 mesi come dovrebbe avvenire in Italia è addirittura, -per certe nazioni belle- da xenofobi fascisti. Orbene, guardiamo dunque cosa legifera il Parlamento europeo in merito, estrapolando la normativa dalla Gazzetta ufficiale: "I clandestini possono essere trattenuti nei centri di identificazione per un periodo fino a sei mesi. Per altri 12 mesi in casi particolari". Così ha deciso la Commissione di Bruxelles, -e confermato dal Parlamento di Strasburgo- e la direttiva è la numero 115 del 2008, in vigore perciò da cinque mesi su tutto il territorio dei 27 Stati dell'Unione, che la dovranno recepire. E arriviamo al dunque: perché tanto baccano dunque se il governo italiano vuole estende la permanenza del clandestino nei Cie fino a sei mesi, quando la Germania ne prevede già 6 oltre ad altri 12 per un totale di 18? Su questa stessa linea c'è anche Malta, con la "democratissima" Spagna che si ferma a 12. Da notare poi che Malta ha a più riprese vietato l'attracco nei suoi porti a "carrette del mare" e nessuno si è sognato di darle della "razzista" per questo comportamento, salvo poi vedere la nostra Marina Militare correre in soccorso e trainare questi disperati in casa nostra. L'immigrazione è un problema umano, certo, al quale non si può rimanere indifferenti, anche se però, bisogna ammetterlo, non ci può essere altra soluzione se non quella di dare un segnale forte affinché questa gente sappia, che una volta arrivata sulle nostre spiagge, non trova l'Eldorado sognato, ma un biglietto per il ritorno a casa. Per concludere? Torna comodo ai Paesi europei tacciarci di razzismo, poiché grazie a questo, noi, per dimostrare il contrario, raccattiamo tutti i diseredati del Mediterraneo e ce li prendiamo in casa nostra, senza pensare che è proprio questo ciò che vogliono i nostri partner europei. Declamano umanità e accoglienza, certo, ma fuori dai loro confini, in Italia, appunto, ventre molle d'Europa.

venerdì 1 maggio 2009

C'ERA UNA VOLTA SERGIO LEONE

Qualche western non proprio a stelle strisce era già apparso sugli schermi italiani a metà anni '60, e a dir la verità, pur se presentato in sale di periferia, era stato accolto con distacco e scetticismo. Attori spesso sconosciuti, ambienti ben lontani dalle originali praterie che gli americani ci avevano abituato e poi, storie bislacche di improbabili cow boys magari 'made in Germany'. Poi, un giorno, un titolo che decretò una rivoluzione vera e propria nel modo di concepire il film western. Era il 1964, e a tentare l'impossibile era il regista italiano Sergio Leone (foto) con il suo "Per un pugno di dollari", l'inizio di un avventura che avrebbe riportato la cinematografia italiana di nuovo a livelli internazionali. Allora, Leone aveva alle sue spalle già una lunga carriera cinematografica, poiché nel 1948 aveva partecipato come aiuto regista al film di Vittorio De Sica "Ladri di biciclette", e in seguito, come regista della seconda unità, in "Quo vadis" (1951), "Elena di Troia" (1956), e "Ben Hur" nel 1959. Un cammino che parte da lontano dunque, per esplodere appunto negli anni Sessanta. "Per un pugno di dollari", dirà in un intervista il grande regista, "fu un avventura a costi bassissimi, se pensiamo che il film è costato 120 milioni". E per tenere il budget sotto controllo, scritturò per il ruolo di protagonista lo sconosciuto attore americano Clint Eastwood, e gli esterni del film furono girati tra la Spagna e Cinecittà. E fu subito successo. Certo, valido supporto fu la musica di Ennio Morricone, il mago della colonna sonora, che Sergio Leone però non volle aggiungere in studio a film fatto, ma la fece anche suonare in diretta sul set "per dare più emotività agli attori", come ebbe a specificare egli stesso. E dietro a questo grande successo, l'anno dopo fu la volta di "Per qualche dollaro in più", nel 1966 poi "Il buono, il brutto e il cattivo", e nel 1968, il sublime "C'era una volta il West", dove un sorprendente cast di grandi nomi -Henry Fonda; Charles Bronson; Jason Robards e una bellissima Claudia Cardinale- ne decretano un successo internazionale. Dopo "Giù la testa" del 1971 e dopo ben 13 anni di preparazione, nel 1984 arriva la pellicola che è tutt'oggi una pietra miliare della cinematografia mondiale, quel "Cera una volta in America" che proietterà Sergio Leone nel novero dei grandi registi a livello mondiale. Una sfida vinta con 10 e lode dunque, ovvero battere gli americani sul loro stesso terreno, quello del genere 'western', e il più bel complimento al nostro regista arriva da Martin Scorsese: "Leone creò nuove maschere per il western e costruì nuovi archetipi per un genere che aveva bisogno di influenze fresche... era un'evoluzione del genere, perché il genere western stava diventando vecchio in quel tempo". Vent'anni fa, il 30 aprile del 1989, Sergio Leone moriva a Roma per un attacco di cuore.