martedì 28 luglio 2009

MATRIMONIO... ALL'ITALIANA

Qualcosa va rivisto, e soprattutto, va cambiato, perché questa storia costa all'Italia -leggasi: a noi- un qualcosa come 30 milioni di euro al mese. La causa di tutto ciò sono i cosiddetti "finti matrimoni", quel sistema cioè di aggirare l'ostacolo attraverso il quale i clandestini si ritrovano da un giorno all'altro, cittadini italiani a tutti gli effetti. Come? Facile come bere un bicchier d'acqua. Il mediatore, che quasi sempre è anche il testimone alle nozze dello straniero irregolare -uomo o donna che sia- è colui che organizza l'incontro tra i due futuri sposi, due anime che il più delle volte si conoscono per la prima volta soltanto davanti al sindaco, che con la fascia tricolore sul petto li unirà "nel sacro vincolo del matrimonio". Una volta dichiarati marito e moglie, i due se ne vanno ognuno per la propria strada con un distinguo: il testimone straniero si intasca dai 3 ai 5 mila euro per "la combine" e altrettanti vanno a finire nelle tasche del partner che si è prestato all'occasione. Ma se già tutto questo è da codice penale, per lo straniero invece comincia la pacchia. In un mese -avendo fregato leggi e passaggi burocratici- ottiene la cittadinanza essendo diventato "italiano" a tutti gli effetti, con i benefici che questo comporta: il ricongiungimento familiare fino alla quarta -quarta!- generazione. "Secondo i nostri dati sono circa 15 persone che arrivano per ogni nuovo cittadino" spiega Ahmed Alì del centro cultura araba di Milano, "e circa 120 mila di questi chiedono la pensione". Ma l'assurdo si aggiunge all'assurdo: "Molti di questi chiedono anche l'accompagnamento" conclude Ahmed. Pensione da 500 euro al mese e accompagnamento per chi non ha mai prestato un ora della sua vita al lavoro in Italia, un qualcosa a cui gli italiani devono far fronte attraverso una spesa di 29 milioni di euro al mese. Un vero e proprio racket dei matrimoni che sfocia in un prelievo "delittuoso" di risorse economiche dalle nostre tasche. I numeri parlano chiaro: 120 mila persone arrivate in Italia grazie al ricongiungimento percepiscono la pensione di anzianità, 60 mila sono i matrimoni misti tra cittadini italiani e marocchini e 20 mila tra cittadini italiani e egiziani. Un matrimonio su due è falso e solo a Milano, su 894 unioni miste, 496 sono state annullate.

lunedì 27 luglio 2009

STOP AI SACCHETTI DI PLASTICA!

Un informazione emessa dall'Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti, rivela che si consuma circa ogni anno in tutto il mondo, tra i 500 bilioni e 1 trilione di sacchetti di plastica (notizia National Geographic 2003). Meno dell'1% dei sacchetti viene riciclato, perché è più costoso riciclare un sacchetto che produrne uno nuovo. C'è una dura economia dietro il riciclo dei sacchetti di plastica. Riciclare 1 tonnellata di borse di plastica costa 4.000 dollari: la stessa quantità si vende nel mercato delle materie prime a 32 $. Quindi dove vanno a finire questi sacchetti? Uno studio del 1975 ha dimostrato che le imbarcazioni transoceaniche gettano nell'insieme ben 8 milioni di libbre di plastica nel mare. La ragione per cui le discariche del mondo non erano inondate di plastica, era perché la maggioranza finiva nell'oceano. I sacchetti vengono trascinati fino a differenti luoghi della nostra Terra, e fino ai nostri mari, laghi e fiumi. Questi, trovano la loro strada verso il mare nelle fogne e negli impianti idraulici. Si sono visti sacchetti di plastica galleggiare a nord del Circolo Artico, vicino a Spitzbergen e molti di più a sud, nelle isole Falkland/Malvine. I sacchetti di plastica rappresentano più del 10% dei rifiuti che giungono a riva dalle coste degli Stati Uniti. Questi si fotodegradano: con il passare del tempo si decompongono in petro-polimeri più piccoli e tossici che infine contamineranno i suoli, le vie fluviali. Di conseguenza, particelle microscopiche possono iniziare a far parte della catena alimentare. L'effetto sulla vita marina può essere catastrofico. Gli uccelli restano incastrati senza speranza e circa 200 differenti specie di vita marina , includendo balene, delfini, foche e tartarughe, muoiono a causa delle borse di plastica. Muoiono dopo aver ingerito i sacchetti che scambiano per cibo. Allora che facciamo? Se usiamo una borsa di tela, possiamo risparmiare 6 sacchetti a settimana, vale a dire 24 al mese, 288 all'anno. Ovvero 22.176 sacchetti durante una vita media. Se solo 1 su ogni 5 persone del nostro paese farà questo, risparmieremo 1.330.560.000.000 (1330 miliardi e 560 milioni!) durante la nostra vita. Il Bangladesh ha proibito i sacchetti. La Cina ha proibito i sacchetti gratuiti. L'Irlanda è stata la prima in Europa a mettere le tasse sui sacchetti nel 2002, riducendone così il consumo del 90%. Nel 2005, il Rwanda li ha proibiti, e così pure Israele, Canada, India dell'Ovest, Botswana, Kenya, Tanzania, Sud Africa, Taiwan e Singapore li hanno banditi o sono sulla via di farlo. Il 27 marzo 2007, San Francisco è divenuta la prima città a proibirli negli Stati Uniti. Oakland (Nuova Zelanda) e Boston (Usa) stanno considerando la loro proibizione. I sacchetti di plastica sono fatti di polietilene, un termoplastico che si ottiene dal petrolio. Riducendo i sacchetti di plastica, si diminuirà il consumo di petrolio, risorsa non rinnovabile e che provoca guerre. La Cina risparmierà 37 milioni di barili di petrolio ogni anno grazie alla proibizione dei sacchetti gratuiti. E in casa nostra come vanno le cose? L'onorevole Salvatore Lauro, grande imprenditore marittimo, nel suo programma di rilancio dell'isola di Ischia e nel ricordo dei gloriosi anni Sessanta, oltre che arrestare la deriva del calo turistico in questa perla del Tirreno, si batterà per far si che i "famigerati" sacchetti di plastica vengano banditi dall'isola. Che sia il primo di una lunga serie di amministratori italiani a combattere il problema?

domenica 26 luglio 2009

LA COMMOVENTE STORIA DI BONNIE E CLYDE

Nemmeno Walt Disney avrebbe pensato una storia simile! Ma dal momento che le storie belle, esistono anche nella realtà, vale la pana di ricordare questa, una storia dal vago sapore... umano, seppur portata alla ribalta mondiale da due splendidi animali, due Border Collie. La storia inizia in una campagna inglese sotto una pioggia fitta, quando nei pressi di una strada provinciale, alcuni operatori di un centro di soccorso animale riescono a catturare i due cani. Da alcuni giorni gli abitanti della zona avevano notato questi due Collie vagare senza meta, e con la paura che finissero tra le ruote di qualche veicolo, avevano allertato la protezione animali. Portati al sicuro i due animali, ribattezzati subito Bonnie - una femmina di un paio d'anni- e Clyde -un maschio di circa 5 anni-, i volontari non riuscivano a capire come mai uno seguisse costantemente l'altro. Poi la drammatica -e in un certo senso commovente- scoperta: Bonnie, era la guida di Clyde, quest'ultimo rimasto cieco a causa di una malattia degenerativa. Chissà come i due si erano incontrati e chissà ancora com'era nato quel dolce rapporto, sviluppatosi e stabilitosi nel tempo. Per poter muoversi in tutta tranquillità infatti, Clyde appoggiava il suo muso sulla schiena di Bonnie, seguendola a passo spedito e quando per una ragione qualsiasi si interrompeva quel contatto, Bonnie si fermava in attesa del ricongiungimento. Nessuno sa da dove arrivino questi due "inseparabili amici", fatto sta che questa storia ha fatto il giro del mondo. "Non possono vivere uno senza l'altro" ha commentato Cherie Cootes, una delle responsabili del canile "Meadown Green Dog Rescue Centre" di Norfolk davanti ai microfoni della Bbc, "perché ormai Clyde si fida completamente di lei. Quando sono insieme, nessuno se ne accorge che uno dei due sia cieco". Ora, curati e coccolati, Bonnie & Clyde sono in attesa di un nuovo padrone e le richieste non mancano. "E dovranno avere un unica casa perché quando non c'è lei, lui non ha il coraggio di fare neanche un passo". (Foto: a sinistra Clayde e la guida Bonnie)

giovedì 23 luglio 2009

C'ERA UNA VOLTA VIA VENETO...

Il "Café de Paris" di Roma, in via Veneto al numero 90, me lo ricordo bene. Le sue colazioni -anche se care!- erano squisite. In quel lontano 1967, suonando al Piper di via Tagliamento, ero alloggiato alla "Pensione Adua" di via Marche, strada parallela a via Veneto e per l'appunto, situata proprio all'altezza del "Café de Paris". I suoi fasti, nati negli anni '50 erano ancora vivi, come viva era l'immagine di quella via, che salendo da piazza Barberini arrivava fino a Porta Pinciana. La sera, quando le luci si accendevano e il tramonto che solo Roma può vantare colorava ormai gli ultimi tetti capitolini, ecco che via Veneto prendeva vita. Nel dehors del "Café de Paris", sempre pieno di turisti e celebri personaggi, non era raro incontrare attori e attrici internazionali, contornati da uno stuolo di 'paparazzi' in cerca di 'scatti' proibiti. Roma era tutta lì, in quella strada diventata l'emblema di una città, di un Italia che cambiava, e noi, giovani ventenni, frequentando quella via, assaporavamo il magico sapore del "vivere il momento". La stoccata che recentemente è arrivata è di quelle che fanno male: "Sequestro da parte della Guardia di Finanza del celebre Café de Paris caduto in mano alla 'ndrangheta". Non c'è più speranza. Si è chiuso inesorabilmente il ciclo della 'Dolce vita', e di quella via, che per molti lustri, ha rappresentato l'ombelico del mondo...

lunedì 20 luglio 2009

20 LUGLIO 1969: L'UOMO E' SULLA LUNA

Presi il carrello sul quale era appoggiato il televisore di famiglia e lo trasportai in camera mia. Mio padre aveva guardato la diretta televisiva fino verso le 22,30 di quella domenica 20 luglio 1969, fino a quando il "Modulo lunare" con a bordo Neil Armstrong e Buzz Aldrin, staccatosi dal Columbia, stava lentamente dirigendosi sul suolo lunare. Il suo orario di ferroviere non gli permetteva di andare oltre. Dalla finestra aperta, giungevano le voci dello stesso programma che stavo guardando, ed era più che logico: 500 milioni di persone in tutto il mondo -la televisione non era ancora un oggetto comune- seguivano l'alternarsi dei fatti che giungevano da "Cape Canaveral", Florida (Usa) la base di collegamento tra terra e astronauti. Mio padre se ne era andato a letto con la certezza delle cose ormai fatte: "The Eagle has landed" aveva infatti pronunciato Armstrong, ovvero "L'Aquila ha atterrato". L'emozione era al massimo. La polvere si era alzata dal suolo lunare nel momento dell'allunaggio, e sul televisore, in bianco e nero, splendeva l'orizzonte del nostro pianeta in un cielo nero come il carbone. Siamo sulla Luna, pensavo, ma il bello doveva ancora arrivare, quando cioè l'uomo avrebbe messo piede per la prima volta su quel suolo. Tito Stagno, giornalista del Primo canale Rai -ce ne erano solo due! a quell'epoca- nel frattempo in studio parlava -allora come oggi- con i soliti ospiti, sul significato di quell'impresa e sui possibili risvolti economici o militari. Ma io me ne fregavo di tutto questo bla-bla, perché volevo il primo passo sulla Luna, quasi come fossi io a farlo. Tutto ciò avviene esattamente alle 4,56 del 21 luglio, dopo che il portellone si apre e un uomo in tuta bianca comincia a scendere la scaletta del Modulo lunare. Uno, due, tre, quattro scalini...ci siamo: "That's one small step for a man, one giant leap for mankind", gracchia Neil Armstrong, il che significa "Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l'umanità". Siamo sulla Luna, e in quell'attimo sono orgoglioso di appartenere all'umanità, e sono contento di vivere quel secolo per poter gustare "in diretta" questo straordinario momento, in cui l'Uomo, non solo è riuscito ad andare sulla Luna, ma è riuscito anche -e soprattutto- a ritornare a casa. Come testimonianza nei secoli a venire, i due astronauti Armstrong e Aldrin -l'altro, Micheal Collins è rimasto in orbita sul Columbia in attesa del rientro dei due colleghi- lasceranno sul suolo lunare, oltre alla bandiera americana e le loro impronte, una placca con le loro firme e quella del presidente Nixon, sulla quale c'è scritto: "Here men fron planet Earth first set foot upon the Moon. July 1969 A.D. We came in peace for all mankind". (Qui gli uomini del pianeta Terra fecero il primo passo sulla Luna. Luglio 1969 A.D. Siamo venuti in pace per tutta l'Umanità). Rimasero sulla Luna 2 ore e mezza, poi il modulo lasciò il suolo lunare per il rientro. 1.533.225 i chilometri percorsi, ed è il 24 luglio quando alle 18,50 -ora italiana e con soli 30 secondi di ritardo sull'orario previsto- la capsula spaziale del Columbia ammara nell'oceano Pacifico, a 640 chilometri da Wake Island e a 24 chilometri dalla nave recupero USS Hornet. L'avventura dell'uomo per la conquista dello spazio è appena iniziata.
(Foto: Neil Armstrong, Micheal Collins e Buzz Aldrin)

domenica 19 luglio 2009

IN VIAGGIO PER LA LUNA

Incredulità. Da tre giorni, l'uomo è in viaggio per la Luna. In perfetto orario infatti, la navicella Columbia della missione spaziale Apollo 11 con a bordo tre uomini, il comandante Neil Armstrong, il pilota del Modulo di comando Micheal Collins, e il pilota del Modulo lunare Buzz Aldrin è stata lanciata nello spazio dal John Fitzgerald Space Center in Florida (Usa) in un afoso mercoledì del 16 luglio 1969. Il mondo intero segue quest'avventura senza precedenti dell'uomo nella sua conquista dello spazio, pur se i momenti attuali -di allora- non sono dei migliori. Guerra Fredda tra i blocchi Usa e Urss, guerra in Vietnam e In Italia -come nel resto del mondo-, la contestazione studentesca ha raggiunto livelli inaspettati e le nostre città sono teatro di scontro tra fazioni di destra e di sinistra. Una rivolta della popolazione carceraria partita dalle Nuove di Torino si allarga in molti altri istituti di pena, il governo Rumor si dimette in seguito ad una scissione socialista e Sandro Pertini si dimette a sua volta da Presidente della Camera, mentre scioperi dei lavoratori si susseguono in tutta la Penisola. Una situazione di instabilità politica che sfocerà con un attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano il 12 dicembre causando la morte di 17 persone e il ferimento di altrettante 88. E' questo dunque lo scenario di quel lontano 1969 quando l'umanità, a naso all'insu, aspetta l'evolversi dell'avventura lunare, trepidando per quei tre uomini a un passo ormai dal suolo lunare. L'appuntamento per questo storico momento infatti sarà per il 20 luglio, 40anni fa esattamente domani.

sabato 18 luglio 2009

NEFASTO VENERDI' 17 PER IL SANTO PADRE

AOSTA - "Il Santo Padre, cadendo accidentalmente nella sua residenza, ha riportato una frattura scomposta al polso destro". Lo annuncia in maniera molto stringata il dottor Patrizio Polisca, medico personale del Pontefice, aggiungendo: "Sua Santità è stato perciò sottoposto ad intervento di riduzione e osteosintesi in anestesia loco-regionale con applicazione di tutore gessato. Le condizioni generali del Santo Padre sono buone". E' successo nella notte di venerdì 17 su nella villetta dove per la terza volta Papa Ratzinger è venuto a trascorrere le sue vacanze, nello stupendo scenario di Les Combes a 1.450 metri di quota e a circa 21 chilometri a ovest di Aosta. Una caduta accidentale in camera mentre il Santo Padre si stava recando in bagno dunque, di cui nessuno se ne è accorto fino al mattino. La forte fibra del Pontefice gli ha consentito di celebrare la messa del mattino nella cappella privata, e solo dopo colazione, il medico personale ha potuto constatare la frattura del polso. L'illustre 'infermo' così ha fatto il suo ingresso all'ospedale Umberto Parini di Aosta alle 9,30 circa, mentre un cordono molto stretto di forze dell'ordine isolava la zona. Registrato come "paziente 917" -per motivi di sicurezza-, il Santo Padre è stato immediatamente visitato dal primario del Pronto soccorso dottor Massimo Pesenti, il quale, dopo aver esaminato la situazione, ha deciso per un intervento. Dopo gli esami di rito, il Papa ha dovuto attendere fino alle ore 13,30 prima di entrare in sala operatoria, un attesa causata della colazione fatta in precedenza e che impediva un immediato intervento. Ad occuparsi dell'illustre paziente, il primario Ortopedico Manuel Mancini, con la collega Laura Mus e gli anestesisti Enrico Visetti -primario- e Marco Fondi. L'operazione è durata circa mezz'ora: "Il Santo Padre si è dimostrato un paziente modello" ha comunicato il dottor Mancini assediato dai cronisti, "e tutto si è svolto in maniera ottimale". Poco dopo le 16,00, la Mercedes nera con targa del Vaticano -che strano, un attimo prima era con targa tedesca (?)- ha lasciato il nosocomio valdostano, con a bordo il Santo Padre, che accolto da applausi e grida di incoraggiamento, ha salutato a lungo con la mano la folla presente, composta di pazienti e curiosi. Venti minuti dopo, il Santo Padre è rientrato nella sua villetta di Les Combes. Apprensione adesso per gli appuntamenti che in programma, come l'Angelus a Romano Canavese (Ivrea) domenica 19 e visita alla Cattedrale di Aosta il 24, anche se i più stretti collaboratori del Santo Padre comunicano che non vi saranno cambiamenti di programma.
(Foto Copyright: Il Santo Padre esce dopo l'operazione)

martedì 14 luglio 2009

ONORE AL CAPORALE ALESSANDRO DI LISIO

Alessandro Di Lisio, caporal maggiore della Folgore (foto) è la 14esima vittima italiana caduta nell'inferno dell'Afghanistan. Classe 1984, Di Lisio era originario di Campobasso e da quattro mesi si trovava in missione nel martoriato Paese asiatico. A ottobre sarebbe rientrato a casa. Pur giovanissimo, al suo attivo aveva già altre missioni all'estero in scenari "caldi", e tra questi l'Irak. Per il comandante dell'8° Reggimento guastatori paracadutisti di Legnago, colonnello Vittorio Sella, il caporal Di Lisio "era un militare molto preparato", mentre un pensiero corre ai genitori del caduto "che in questo momento piangono la perdita di un valoroso figlio". La tragica vicenda si è svolta in un un attimo, in una landa desolata a 50 chilometri da Farah, dove su tre veicoli -due Lince e un mezzo blindato Cougar- una pattuglia formata da Paracadutisti della Folgore e del Primo Reggimento Bersaglieri è stata colpita dall'esplosione di una bomba lungo la strada. In uno dei mezzi, colpito in pieno dall'ordigno, il parà della Folgore, Alessandro Di Lisio è morto sul colpo, mentre altri tre commilitoni sono rimasti feriti in maniera più o meno grave, anche se le autorità militari hanno subito assicurato che nessuno dei tre è in pericolo di vita. Pochi giorni fa, esattamente l'8 luglio alle ore 19,45, su Facebook Alessandro aveva annotato un suo pensiero, l'ultimo: "La guerra è uno sporco lavoro... ma qualcuno dovrà pur farla...". Migliaia i messaggi lasciati in rete da amici e sconosciuti, uno, forse il più significativo, lo lascia un suo omonimo: "Portare la pace a volte comporta rinunce importanti e Alessandro ha rinunciato alla propria vita. Cosa dire... onore all'uomo, onore al soldato". Infine, anche una poesia è comparsa in rete:
"Oggi parla il silenzio/ Il silenzio di chi ha fatto/ del servizio della Patria/ una scelta di vita
/ ed in silenzio/ questa scelta / l'ha portata avanti fino in fondo/. Non intitolategli strade o piazze/ ma rispettate il suo silenzio/. E in silenzio rendetegli onore/ perché portava anche voi/ nel Tricolore che sventolava sul suo cuore. (G. Di Vita)

lunedì 13 luglio 2009

BENVENUTO IN VALLE D'AOSTA SANTO PADRE

LES COMBES -Introd- Poco prima delle ore 12,30 di oggi, lunedì 13 luglio, l'elicottero dell'Aeronautica Militare ha toccato l'erba del campetto di Les Combes, dal quale è sceso un sorridente Benedetto XVI. Ad attenderlo, oltre al vescovo di Aosta Monsignor Giuseppe Anfossi e il sindaco di Introd Osvaldo Naudin, il presidente della regione Valle d'Aosta Augusto Rollandin, del Consiglio Alberto Cerise e tutte le più alte cariche civili e militari. Un coro dei bambini della Scuola Materna di Introd ha dato il benvenuto al Pontefice recitando una poesia in italiano, francese e patois, poi i doni, ovvero prodotti tipici locali. E' questa la terza volta che Papa Ratzinger viene a trascorrere le sue vacanze in Valle d'Aosta, in questo spicchio di paradiso ad una ventina di chilometri da Aosta e posto a 1.450 metri d'altezza, un luogo di una bellezza naturale unica affacciato sul massiccio del Monte Bianco. Un Papa dunque stanco ma che risponde alla domanda di un giornalista, e cioè se dopo il recente G8, crede che ci sia più speranza per i Paesi poveri dell'Africa: "Speriamo, mi sembra che le condizioni siano buone". Come sempre, sarà una vacanza strettamente privata, dedicata alla lettura e forse, alla stesura di un nuovo libro, anche se Benedetto XVI ha affermato che "ci sarà pure del tempo dedicato al lavoro". Nello studio situato al primo piano della villetta, il Santo Padre ha trovato anche un nuovo pianoforte, dato che quello preesistente accusava "gli acciacchi del tempo". E non è raro sentirlo suonare i classici di Bach -come dicono i dipendenti della colonia Salesiana- e questo avviene al mattino presto o nel tardo pomeriggio prima della cena. Poche dunque le uscite, una delle quali avverrà domenica 19 luglio a Romano Canavese per la recita dell'Angelus, una località questa, scelta sicuramente in omaggio al paese natale del Segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone. Confermato invece l'Angelus di domenica 26 prossimo su a Les Combes -aperto al pubblico- e infine il rientro in Vaticano programmato per il pomeriggio di mercoledì 29.
(Foto Copyright: Benedetto XVI e padre Georg Gaenswein con i bambini della Scuola Materna di Introd)

venerdì 10 luglio 2009

MORIRE FESTEGGIANDO GLI ESAMI...

Alcool e gioventù, il problema di sempre che anche in Italia sta dilagando, tanto che nel pacchetto sicurezza recentemente varato dal Governo, sono state inasprire le pene per chi somministra bevante super alcoliche ai minorenni. E un fatto tragico che ci riporta proprio al problema dell'alcool arriva da Winnersh (Inghilterra), dove Patrick "Paddy" Higgins, (foto) studente sedicenne della Forest School, mercoledì 8 luglio si è recato assieme ad altri compagni -così come tradizione vuole- a festeggiare la fine dell'anno scolastico in una località della Cornovaglia. Festa senza freni, dove birra e alcool scorrono a fiumi. In certe situazioni però, luogo meno indicato per far baldoria, poiché il tutto avviene in una località a strapiombo sulle scogliere di Newquay. E quella sera, Patrick "Paddy" Higgins era troppo ubriaco per capire che stava barcollando sui bordi del precipizio, ed anche gli amici presenti poi non fecero molto caso della sua improvvisa scomparsa. Lo hanno ritrovato infatti il giorno dopo sulla spiaggia di Tolcarne Beach, precipitato lì dopo un volo di 150 metri da quel pianoro dove si erano radunati gli studenti in festa. Lo strazio del padre, John Higgins, un professore che tra l'altro insegna proprio nella scuola frequentata dal figlio, ora ha solo una domanda: "Ma è giusto vendere alcolici ai giovani"? E lo dice guardando una foto del figlio scattata proprio in quella tragica sera di festeggiamenti dove lo si vede appunto con un bicchiere in mano: "Ogni genitore dovrebbe guardare questa foto e pensare che sarebbe potuto accadere a loro. Un attimo prima nostro figlio era lì, gli stavano vendendo birra e liquori, e dopo si è ritrovato a morire in quel modo terribile". E ancora: "Certo, è stata una sua scelta quella di mettersi a bere, però dovremmo essere capaci di proteggere i nostri giovani. Ma come ci riusciremo se siamo noi a vendergli tutte le sbornie che vogliono"? Più di 4000 amici hanno lasciato messaggi su Facebook, la metà dei quali aderendo al gruppo lanciato dagli Higgins "Boicottiamo Newquay per le vacanze degli adolescenti". E non ha tutti i suoi torti. Solo pochi giorni prima infatti, un 18enne era morto sempre nello stesso modo mentre un altro, grazie ad un miracolo, si era salvato dopo esser scivolato dalla scogliera.

giovedì 9 luglio 2009

PREDICARE BENE E RAZZOLARE MALE...

Ho sempre avuto un certo riserbo per i predicatori del bene assoluto, quelli che si ergono al di sopra delle parti per perorare "la buona causa". E mi riferisco al momento attuale, quello in cui si svolge il G8 e dove, tra altri argomenti che riguardano il futuro del pianeta, c'è anche quello dedicato alla fame del mondo, che per posizionamento geografico interessa l'Africa. Paladini incontrastati di questa "missione", Bono Vox degli U2 e Bob Geldof, quest'ultimo ormai conosciuto più come organizzatore di raduni mondiali (foto: logo del Live Aid) che non per le sue dote artistiche. Emblematica, per molti versi, la conversazione apparsa recentemente sia in tivù che sui giornali tra Geldof e il premier Silvio Berlusconi, dove l'ex rocchettaro ammoniva il presidente del Consiglio di "non aver mantenuto gli accordi presi precedentemente in fatto di aiuti verso le popolazioni africane". E lo faceva con tanta enfasi da sembrare la rampogna di un inflessibile professore diretta all'allievo "birichino" colto in fallo mentre lanciava palline di carta alla più bella della classe. Ma se questo sistema di fare già mi sveglia l'orticaria, un altra "tirata d'orecchi" se la prende di nuovo Berlusconi da parte di Bono, leader degli U2, durante il concerto tenutosi sere fa a San Siro, accusandolo di non aiutare i poveri del mondo "perché finora ha fatto solo promesse e niente fatti". Allora, ricapitoliamo da che pulpito ci giunge la predica. Il primo "eroe", ovvero Bob Geldof, risulta che abbia un capitale di oltre 30 milioni di sterline con case intestate a società off-shore, il tutto, per non pagare tasse al suo Paese. E Bono? Persino Paperon de Paperoni impallidirebbe di fronte al suo impero finanziario, calcolato in circa 1 miliardo di sterline, che come cita un articolo apparso sul britannico Daily Mail, messo su "ingraziandosi imprenditori finiti in carcere e pagando meno tasse possibili". Parlare di poveri guazzando nei lussi sfrenati dunque, se pensiamo che Bono Vox nei giorni milanesi ha alloggiato gratis all'hotel Al Faied -un super-super lusso- e che ha fatto pagare dai 110 ai 150 euro il biglietto ai fan giunti a San Siro per ascoltarlo. Ma il discorso non finisce qui, perché nella corsa al "salviamo il mondo che muore di fame", nel libro "L'Industria della Solidarietà" della giornalista Linda Polman (Mondadori), si scrive che su oltre 23 mila miliardi di dollari che i Paesi ricchi hanno versato ai poveri negli ultimi decenni, la maggior parte di questi soldi sono andati a finanziare massacri e lussi di svariati dittatori locali, mentre ai poveri, nemmeno le briciole ma ulteriore fame. Questa dunque è la situazione odierna del radical chic "a pancia piena" con un occhio -ma uno solo-, verso chi invece la pancia ce l'ha perennemente vuota. Che si frughino in tasca anche loro e magari, diano l'esempio: "Io come artista ho dato personalmente 20 milioni di dollari ai poveri dell'Africa. Voi come Stato, quanto date"? Questo si che sarebbe un bel gesto. Altro che predicare bene e razzolare male...

mercoledì 8 luglio 2009

JOHN RENDALL E IL LEONE CHRISTIAN

Conobbi John Rendall una sera al Saint Moritz Club di Soho, Londra. Era l'inverno del 1972. Ci siamo frequentati per circa sei mesi, con cene a casa mia in Stratford road e giornate spese insieme fra pub e disco, ma soprattutto, scorrazzando per la città a bordo della sua mastodontica -e stupenda- Bentley. Mi raccontò che era "scappato" dall'Australia, sua terra d'origine, per niente allettato dalla proposta del padre di prendere in mano le redini dell'enorme e ricca tenuta di famiglia fatta di terreni e allevamenti di animali. Non era affatto la sua vita. Ma essendo venuto via -mi disse- senza un dollaro paterno in tasca e dal momento che viaggiava con una macchina da nababbi, un giorno gli chiesi come avesse fatto a comprarsi una vettura simile. E glielo chiesi proprio in un negozio di Earls Court dove ero entrato per comprare i giornali e dove tra l'altro, vendevano anche i libri. "Ho scritto una storia su di un leone" mi disse distrattamente, indicandomi appunto il suo libro in bella mostra su uno scaffale. Non aggiunse nient'altro e io non approfondii l'argomento. Londra non lasciava spazio a troppi formalismi, in una città dove potevi incontrare Beatles o Rolling Stones che bighellonavano in club privati del centro città -aperti però ai turisti-, come la "Valbonne" -in Kingly Street- o lo "Speakeasy" -in Margaret Street-, dove band fissa erano i Procol Harum, quelli di "A whiter shade of pale". John ed io ci salutammo nel maggio del '73, quando dall'aeroporto di Luton-London feci ritorno in Italia. Non ci siamo più visti. Su You Tube, tempo addietro, come altri milioni di visitatori di tutto il mondo, ho visto il video di "Christian the Lion" e come milioni di visitatori che lo hanno visionato, ho avuto anch'io il nodo alla gola nell'osservare quelle immagini che risalgono al 1969, immagini stupende di un amicizia nata tra due giovani australiani che vivevano a Londra ed un cucciolo di leone comprato da Harrods e diventato adulto in un attimo. I due giovani australiani erano Ace Berg e l'altro, appunto, l'amico John Rendall, l'autore del libro... (Foto: da sinistra: John Rendall, Christian e Ace Berg)

giovedì 2 luglio 2009

QUANDO IL CONTO E' UNA RAPINA ...

ROMA - Quei due giovani turisti giapponesi stavano coronando il sogno della loro vita: visitare la "Città eterna", la Roma dei Cesari. E per farlo, visto che la crisi non esclude il Sol Levante, avevano risparmiato su molte cose per concedersi questa "vacanza italiana", quella terra "aldilà del mondo" che tanto fascino ha. Sicuramente avranno toccato altre mete, Firenze, Siena, Venezia, e poi, prima di riprendere il volo verso casa, la tanto sognata Roma, poiché come si suol dire, "tutte le strade portano lì". Ed eccoli in giro per monumenti e musei, con la loro immancabile macchina fotografica pronta a riprendere un po' di tutto, dalle statue imperiali alle carrozzelle con i cavalli, ai mercatini rionali, il Colosseo con lei davanti che sorride, l'Altare della Patria, Fontana di Trevi, Trinità dei Monti... Poi la fame che si fa sentire, e dato che l'ospitalità degli osti romani è risaputa, a due passi da piazza Navona scorgono il ristorante "Al Passetto" con dehors, (foto) ed è lì che decidono di fermarsi, mangiando romanticamente al fresco del famoso "venticello de'Roma". Il cameriere che li riceve dice "Trust me" (abbiate fiducia in me), pertanto il menù lo consiglia lui: un antipasto con due scampi e tre ostriche a testa e poi due succulente porzioni di spaghetti all'astice, seguite da un pesce al forno. Niente contorno -bisogna risparmiare...- solo una bottiglia di vino bianco (Sauvignon) e una bottiglia di acqua frizzante, e per finire, due coppette di gelato "ai tre gusti". Ce n'è per star bene un paio di giorni. Una sosta tutto sommato "piacevole" e da immortalare in diverse foto da far vedere ad amici e parenti al rientro a casa, poi, con il classico accento giapponese, "Please, the bill", ovvero, "Per favore, il conto". Il "venticello de'Roma" diventa gelido leggendo la cifra: 695 euro, tra i quali, senza che nessuno li abbia autorizzati, 115,50 euro sono la mancia che si sono presi. Sarà un errore si chiede il malcapitato? "Ma quale errore, è ciò che ci spetta" avranno ribadito. Al che, blocco della digestione per i due giapponesi e corsa al più vicino posto di polizia per denunciare l'accaduto. La risposta non tarda ad arrivare: Denuncia e conseguente chiusura dell'esercizio dopo immediati controlli sanitari. Il sindaco Gianni Alemanno, appreso l'accaduto ci è andato giù duro: "Per quanto mi riguarda, questo ristorante non deve più riaprire, perché in casi simili si deve arrivare alla revoca della licenza". E partono controlli a tappeto per vedere se ci sono altri... ristoratori di tal rima, mentre i due giovani giapponesi -chissà se avranno digerito il pranzo...- se ne ritornano a casa con qualcosa in più da raccontare...