Makwan Muludzadeh aveva ventanni. E' stato impiccato mercoledì 5 dicembre perché riconosciuto gay dopo una sentenza del tribunale. E' una storia vecchia di sette anni, quando l'allora tredicenne Makwan, abitante di Paveh, un villaggio di Kermanshah, (Iran) diventa "la vergogna del paese". Il tutto inizia quando tre giovani coetanei lo denunciano alla polizia, accusandolo di essere stati molestati sessualmente. Makwan viene immediatamente sbattuto in galera, ma quando i tre accusatori lo vedono passare in groppa ad un asino, messo alla pubblica gogna, deriso e insultato mentre viene trascinato al cospetto di un tribunale rivoluzionario, si ricredono. Possono semplici effusioni giovanili essere scambiate per sodomia, tanto più che un accusa simile può costargli la vita? In fase di udienza, le loro ritrattazioni hanno il valore del nulla, e il processo si conclude come era prevedibile: impiccagione. Hashemi Shahroudi, ayatollah e numero uno del potere giudiziario iraniano, forse è l'unico che comprende l'errore, pretendendo di fatto una revisione del processo, se non della sentenza. Niente da fare per i falchi del regime, pertanto, in sprezzo alla revisione presentata da Shahroudi, anticipano in fretta e furia l'esecuzione. Dopo che il cappio si è stretto intorno al collo del giovane e dopo averne constatato la morte, le autorità hanno chiamato la famiglia per portarsi via il corpo. Bisognava sbarazzarsi velocemente di quella presenza, perché è controproducente uno scontro nel Paese tra una certa parte della popolazione decisa a difendere diritto e legalità e l'altra, quella del regime, pronta a dare condanne esemplari e sbrigative. E poi, in Iran, "i gay non esistono". Lo aveva detto con malcelato orgoglio recentemente anche il presidente Ahmadinejad... (Gericus)
(foto: Mahmoud Ahmadinejad, presidente dell'Iran)
1 commento:
"L'hanno ucciso!", con queste parole, strozzate dalla commozione,
siamo stati avvertiti telefonicamente che tutto era finito. Makwan, il
21enne iraniano condannato a morte in Iran per il reato di
"lavat" (letteralmente, "sodomia") è stato ucciso, nonostante la
mobilitazione di tanti persone di buona volontà che hanno cercato di
impedirlo. Ma di fronte a tanta violenza ci uniamo anche noi
idealmente alle donne e agli uomini della REFO di Firenze che giovedì
13 dicembre 2007 alle ore 21 si riuniranno a Firenze presso il Centro
comunitario Valdese di Via Manzoni per dare vita ad una preghiera
ecumenica e per gridare "la nostra sete di giustizia, di amore e di
compassione, perché non si dia più la morte nel nome dell'unico Dio
dei cristiani, degli islamici e degli ebrei".
Per saperne di più clicca su www.gionata.org
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