Oltre che "cacciatore", l'uomo è anche sospettoso, tanto da "annusare" il tradimento della propria partner fin dalle prime... battute. E' quanto emerge da uno studio portato avanti dallo psicologo statunitense Paul Andrews, della Virginia Commonwealth University di Richmond, pubblicato recentemente sulla rivista Human Nature e ripreso da "Affari italiani .it". Di cosa si tratta dunque? Che nel 75% dei casi lui sa scoprire velocemente il tradimento, pur quando nella coppia "non ci sono motivi di dubitare". Diffidente quanto basta dunque, tutto l'opposto della partner che è meno brava a trovarlo in fallo perché, per natura, molto meno sospettosa. E per arrivare a queste conclusioni, gli psicologi hanno posto una serie di domande intime a 203 giovani coppie, le cui risposte hanno messo in luce inoltre che il 29% degli intervistati ha confessato di essere stato infedele, contro il 18,5% delle donne. Ma entrando più nei numeri, si nota quanto l'uomo sia più portato a essere guardingo -a volte ingiustamente- nei confronti della propria partner, perché nel 94% dei casi, quando il tradimento c'è, le sue deduzioni lo portano sempre a scoprire l'infedeltà della compagna, cosa che a lei invece capita solo nel 41% dei casi. (Gericus)
giovedì 30 ottobre 2008
LE CORNA? L'UOMO LE SCOPRE SUBITO
Oltre che "cacciatore", l'uomo è anche sospettoso, tanto da "annusare" il tradimento della propria partner fin dalle prime... battute. E' quanto emerge da uno studio portato avanti dallo psicologo statunitense Paul Andrews, della Virginia Commonwealth University di Richmond, pubblicato recentemente sulla rivista Human Nature e ripreso da "Affari italiani .it". Di cosa si tratta dunque? Che nel 75% dei casi lui sa scoprire velocemente il tradimento, pur quando nella coppia "non ci sono motivi di dubitare". Diffidente quanto basta dunque, tutto l'opposto della partner che è meno brava a trovarlo in fallo perché, per natura, molto meno sospettosa. E per arrivare a queste conclusioni, gli psicologi hanno posto una serie di domande intime a 203 giovani coppie, le cui risposte hanno messo in luce inoltre che il 29% degli intervistati ha confessato di essere stato infedele, contro il 18,5% delle donne. Ma entrando più nei numeri, si nota quanto l'uomo sia più portato a essere guardingo -a volte ingiustamente- nei confronti della propria partner, perché nel 94% dei casi, quando il tradimento c'è, le sue deduzioni lo portano sempre a scoprire l'infedeltà della compagna, cosa che a lei invece capita solo nel 41% dei casi. (Gericus)
mercoledì 29 ottobre 2008
LA RESA DEI CONTI
ROMA - Con la spauracchio dell'ergastolo e prima che la giuria si ritirasse in camera di consiglio, Romulus Nicolae Mailat, (foto) il rom accusato di violenza sessuale e dell'omicidio di Giovanna Reggiani avvenuto a Roma poco meno di un anno fa, ha pianto calde lacrime e ha chiesto "perdono davanti a Dio". Le prove schiaccianti a suo carico però lo hanno inchiodato alle sue responsabilità: 29 anni di carcere. Questa è la sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Roma nei suoi confronti, una condanna che per certi versi ha mitigato la richiesta dell'accusa, rappresentata in questo caso dal pm Maria Bice Barborini, che aveva chiesto per lui l'ergastolo. Con grande faccia tosta, il rom attraverso la sua interprete aveva fatto sapere che ormai si sentiva un po' il "capro espiatorio" di tutte le nefandezze compiute in Italia dagli immigrati, pertanto non sperava niente di buono nei suoi confronti. "Io non ho ucciso nessuno" ha commentato, "ho solo rubato la borsa della vittima", dimenticando le testimonianze portate dai suoi stessi connazionali che la sera del delitto lo videro disfarsi del corpo della povera Giovanni Reggiani. Nella sua recita poi, il rom aveva dichiarato di essere dispiaciuto per quanto accaduto quella sera: "Chiedo scusa a lei, signor presidente, alla corte e a tutti i presenti in aula, e spero che giustizia sia fatta". Lo hanno accontentato con 29 anni di galera, troppo pochi per una persona riconosciuta colpevole di un delitto tanto atroce. "Non voglio assolutamente entrare in polemica con la decisione dei magistrati" ha commentato il sindaco di Roma Gianni Alemanno, "ma la sentenza di oggi su Mailat mi lascia molto amareggiato". I difensori del rom che nella loro arringa avevano chiesto l'assoluzione in base all'articolo 530 comma secondo (ex assoluzione per insufficienza di prove), dopo la sentenza hanno annunciato il ricorso. (Gericus)
IGNORANTI IN CATTEDRA
RUDY GUEDE: 30 ANNI
PERUGIA - Dopo oltre undici ore di camera di consiglio, le decisioni di Paolo Micheli, gup di Perugia sono di condanna: 30 anni per l'ivoriano Rudy Hermann Guede, per il momento ritenuto essere l'assassino di Meredith Kercher, la giovane studentessa inglese uccisa nel capoluogo umbro nella notte tra il primo e il due novembre dell'anno scorso. Nella sentenza emessa, c'è pure un risarcimento di sette milioni di euro da devolvere in parti diverse ai genitori di Mez, sorella e fratello. Il 4 dicembre invece, prima udienza per gli altri due coimputati, l'italiano Raffaele Sollecito e la sua ex fidanzata, l'americana Amanda Knox. Pesante è l'accusa nei loro confronti, perché dovranno rispondere di omicidio volontario, e per Amanda, anche di calunnia aggravata nei confronti del congolese Patrick Lumumba, prima tirato in ballo dalla ragazza e poi scagionato. E la ricostruzione dei pm Giuliano Mignini e Manuela Comodi, vede i tre coinvolti in egual misura nel delitto, che secondo l'accusa, partì da un gioco sessuale non condiviso dalla vittima. Sempre secondo questa ricostruzione, Rudy quella tragica sera cercò di violentare Meredith -tanto che una traccia del suo Dna è stata rivelata da un tampone vaginale-, mentre quest'ultima veniva bloccata dai due uomini. A questo punto entra in scena Amanda, la quale secondo i due pm, è colei che vibrò la coltellata fatale al collo di Mez. Una tesi nettamente rigettata dai difensori di Amanda, i quali sostengono invece che "uno solo è stato l'assassino, e che questi è un uomo robusto tanto da immobilizzare la vittima in posizione supina, per poi ucciderla con un colpo di coltello". Ma si ritorna anche al ladro entrato dalla finestra, e questa teoria la portano avanti i difensori di Raffaele Sollecito, Giulia Bongiorno, Luca Maori e Marco Brusco. Un ladro che scoperto in flagrante dalla Kercher, uccide senza pietà per poi sparire da dove era entrato. A supporto di questa "verità", un frammento di vetro della finestra rimasto incastrato nella suola di una scarpa e che ha lasciato infatti un segno a Y in una delle impronte insanguinate scoperte dalla Scientifica. Di parere completamente opposto, i legali di Hermann Guede, i quali insistono che i responsabili dell'assassinio di Meredith Kercher non sono altri che la coppia Raffaele e Amanda, perché Rudy, quella sera, non partecipò al delitto essendo in bagno. Oltre a ciò, sempre per i difensori dell'ivoriano, Meredith non subì nessuna violenza. Tre verità per un solo delitto dunque, una prima conferma e una domanda che ancora attenda una riasposta: perché tre giovani 'normali' si sono tramutati in un attimo in tre spietati assassini? (Gericus)[foto Rudy, Amanda e Raffaele]
domenica 26 ottobre 2008
BARBARA 26.10.2008

Ricordati Barbara
Pioveva senza tregua quel giorno su Brest
E tu camminavi sorridente
Raggiante rapita grondante, sotto la pioggia.
Ricordati Barbara,
Pioveva senza tregua su Brest
E t'ho incontrata in rue de Siam
E tu sorridevi, e sorridevo anch'io
Ricordati Barbara,
Tu che io non conoscevo
Tu che non mi conoscevi
Ricordati, ricordati comunque di quel giorno
Non dimenticare
Un uomo si riparava sotto un portico
E ha gridato il tuo nome Barbara
E tu sei corsa incontro a lui sotto la pioggia
Grondante rapita raggiante
Gettandoti tra le sue braccia
Ricordati di questo Barbara
E non volermene se ti do del tu
Io do del tu a tutti quelli che si amano
Anche se non li ho visti che una sola volta
Io do del tu a tutti quelli che si amano
Anche se non li conosco
Ricordati Barbara, non dimenticare
Questa pioggia buona e felice
Sul tuo viso felice
Su questa città felice
Questa pioggia sul mare, sull'arsenale
Sul battello d'Ouessant
Oh Barbara, che cazzata la guerra
E cosa sei diventata adesso
Sotto questa pioggia di ferro
Di fuoco acciaio e sangue
E lui che ti stringeva fra le braccia
Amorosamente
E' forse morto disperso o invece vive ancora
Oh Barbara, piove senza tregua su Brest
Come pioveva allora
Ma non è più così e tutto si è guastato
E' una pioggia di morte desolata e crudele
Non è neppure più bufera
Di ferro acciaio e sangue
Ma solamente nuvole che crepano come cani
Come cani che spariscono
Seguendo la corrente su Brest
E scappano lontano a imputridire
Lontano da Brest
Dove non c'è più niente. (Jaques Prévert)
sabato 25 ottobre 2008
"ERO GAY, NE SONO USCITO"
Lo racconta Luca, 36 anni, milanese. La sua vita di omosessuale,fatta di sesso facile e promiscuo, party notturni e alcol, finisce a 27 anni, quando per caso si imbatte in alcuni appunti inerenti alla "terapia riparativa" lasciati da un amico, studente di psicologia. Fino allora, omosessuale convinto, pensava ormai che quella fosse la sua condizione di vita. Egocentrico, ossessionato dal sesso e dai soldi, dalla forma fisica e da quell'attrazione per i maschi. Un mondo però che col tempo lo portò a delle riflessioni, facendogli perdere le certezze che fino allora lo avevano spinto nel vortice del sesso compulsivo, e questo aiuto lo trovò giusto in quegli appunti, che altro non erano che la "terapia riparativa" dell'americano Joseph Nicolosi. Gli bastò un corso di cinque anni, dopodiché, riscoperto la "parte maschile" del proprio essere e incontrata nel frattempo Marta (nome di fantasia), nell'agosto di quest'anno è giunto al matrimonio. "Ho sposato una donna e ora ho ritrovato la felicità". Omosessualità al pari di una malattia dunque? Giancarlo Ricci, psicoterapeuta, ammette che come la depressione o come l'anoressia, "l'omosessualità è un disturbo che nelle sue forme più estreme può essere curato". E' una malattia dunque? "E' un sintomo particolare relativo all'ambito della sessualità e che può avere aspetti patologici pesantemente problematici". Di altro avviso invece è la psicoterapeuta Margherita Graglia: "La terapia riparativa è una teoria basata su premesse prive di validità scientifica: parlano di difetto di mascolinità, arresto dello sviluppo e passano dall'idea che l'omosessualità non sia naturale al pari dell'eterosessualità". Giancarlo Ricci però non demorde, e alla domanda se dall'omosessualità si può guarire commenta che "guarigione è un termine medico, ed io non sono un medico. Però mi chiedo: perché se un eterosessuale può diventare gay, non può succedere il contrario"? (Gericus da Il Giornale)
venerdì 24 ottobre 2008
LA SVENTURA DEL NOME...
mercoledì 22 ottobre 2008
PATCH ADAMS: NON SOLO MEDICINA
martedì 21 ottobre 2008
ETROUBLES: LA CURVA DELLA MORTE
lunedì 20 ottobre 2008
BATTAILLES de REINES 2008
sabato 18 ottobre 2008
DELITTO MEREDITH: CHIESTO L'ERGASTOLO PER HERMANN GUEDE
MOSTRI IN CASA, MOSTRI IN LIBERTA'
Doretta Graneris e Guido Baldini, Erika di Nardo e Omar Favaro, Pietro Maso, Ferdinando Carretta... Cos'è che hanno in comune questi nomi? Una famiglia sterminata con le proprie mani alle spalle e poi, una pena "che pena non è stata". Eccetto un caso -quello di Carretta-, tutti si sono macchiati del sangue dei loro cari per avidità, per denaro. Ma partiamo dalla strage di Vercelli, quella avvenuta il 13 novembre 1975. Doretta Graneris, 18 anni, per bruciare le tappe della sua vita, decise una vera mattanza della propria famiglia, e per metterla in atto, si avvalse della collaborazione del fidanzato, tale Guido Baldini, di un paio d'anni più grande. Fu una strage. A colpi di pistola, uccisero uno dopo l'altro il padre, la madre, il nonno e la nonna materni e infine, il fratellino di 13 anni. Quest'ultimo, nel vano tentativo di sfuggire alla morte, si era nascosto sotto ad un tavolo, ed è lì che fu trovato. Una scena terribile si presentò davanti agli occhi dei carabinieri. In quella cucina diventata un mattatoio, il cadavere del nonno fu rinvenuto seduto su una sedia davanti al televisore ancora acceso, e poi, sparsi in un lago di sangue, gli altri corpi. Non resse molto l'indifferenza di Doretta, né tanto meno quella del fidanzato. Per tutti e due, rei confessi, il tribunale li condannò all'ergastolo. Un'altra coppia "diabolica" è quella di Erika Di Nardo e Omar Favaro, sedicenni entrambi, e teatro della strage è Novi Ligure. Era il 21 febbraio 2001 quando la polizia, avvertita dagli stessi assassini, si precipitò in casa Di Nardo. Orrendamente uccisi a coltellate, la madre Susy e il fratellino di Erika, Gianluca di 11 anni. Nei piani di morte però, rientrave anche il padre della giovane. "Sono stati degli stranieri" furono le prime parole di Erika. Qualcosa però non quadrava, e per gli inquirenti non ci volle molto per arrivare alla verità. "Si, siamo stati noi" confessarono i due fidanzatini. Vennero condannati lei a 16 anni di reclusione e lui a 14. Di Pietro Maso, il carnefice di Verona, abbiamo già parlato ampiamente in un recentissimo post, pertanto, l'altro nominativo che completa questo poker di assassini in famiglia, è Ferdinando Carretta, oggi 46 enne. Era il 4 agosto 1989 quando la famiglia Carretta, ufficialmente partita col camper per una delle solite vacanze, scomparve nel nulla. Sarà una parente, a fine settembre, a lanciare l'allarme, visto il silenzio dei congiunti. Spariti volontariamente o tutti morti? Ferdinando Carretta, circa dieci anni dopo, veniva rintracciato dall'Interpol a Londra, dove nel frattempo si era trasferito. Estradato immediatamente in Italia ammise le sue colpe. Con una pistola, tra le pareti domestiche uccise prima il padre Giuseppe, poi la madre Marta, e infine, con i cadaveri dei genitori in un lago di sangue, attese per alcune ore il rientro a casa del fratello Nicola, di un paio di anni più giovane. Che uccise senza una parola. Per lui, il tribunale di Parma riconobbe l'incapacità di intendere e di volere, affidandolo di conseguenza ai medici di una casa di cura. Qual'è dunque il filo che lega queste quattro aberranti storie di sangue? E' che tutti i responsabili, dopo aver sterminato le loro famiglie, hanno beneficiato incondizionatamente di sconti di pena, vacanze premio (Erika) e nonostante ergastoli o decine di anni da scontare, qualcuno è già fuori da da tempo (Graneris), Ferdinando lo è da poco, e altri presto lasceranno "l'hotel Rebibbia". La motivazione? Una buona condotta interna e forse, un pentimento "vero o fasullo", poco importa alla resa dei fatti. Le "quattro pareti" di una cella dunque "cambiano l'uomo" e lo ridanno alla vita. Peccato che invece le quattro assi di legno di una bara non facciano altrettanto... (Gericus) ,
CINQUANTANNI DI "DOLCE VITA"
ROMA - A volte il mito nasce per caso. Se non ci fosse stata la ballerina turca Aiché Nanà, chissà, forse il successo di Roma con la sua "Dolce vita" di via Veneto non sarebbe mai scoppiato. Si, perché il tutto nacque da un ritmo di batteria della "Roman New Orleans Jazz Band" che nel novembre del 1950, suonava al Rugantino, un locale di gaudenti vivacchioni della capitale. E' lì infatti, esattamente il 5 di quel mese, complice qualche bicchiere di champagne di troppo e quel suono martellante di batteria, che la 'nostra' Aiché Nanà improvvisò in una Roma bigotta e bacchettona un "bollente" -per l'epoca- strip tease. Ad uno ad uno pertanto, caddero i suoi indumenti, mentre intorno a sé ormai, l'euforia aumentava, come il sudore sulla fronte degli uomini. Rimasta in sole mutandine -che la stampa ricorderà "nere velate di merletto"- , la donna ballò, si sdraio su di un tappeto di giacche e si inarcò con una carica erotica come solo una ballerina turca sa fare, poi, al culmine dell'entusiasmo, arrivò la polizia a mettere fine -come si scrisse allora- "a quello sconcio". Richiesta di documenti ai presenti con tanto di segnalazione in questura, e per la donna, colei che "aveva osato tanto", un processo per atti osceni in luogo pubblico con un inevitabile condanna della Corte d'appello a due mesi di reclusione. Ma se questo interessò cronaca e aule giudiziarie, il fatto varcò perfino i confini nazionali segnando in positivo il nome di una via e di un'intera città, ovvero, la Roma della Dolce vita. Tutto ciò che seguì era, in qualche modo scontato; Anita Ekberg che si bagna nella fontana di Trevi, Fellini che porta nel mondo quest'angolo di città, Linda Christian che si innamora al Cafè de Paris di Tyron Power, i "Paparazzi" con i loro appostamenti e le molte scazzottate con i vip tra i dehors di via Veneto e infine, Cinecittà che per incanto diventa Hollywood. Diventata così l'ombelico del mondo, per anni Roma ha vissuto di questo splendore riflesso, poi, il mito, piano piano è scemato. Dove c'era il Rugantino, oggi per esempio c'è un McDonald's, segno inequivocabile della fine di un era, che era poi quella di Carosello se vogliamo, della legge Merlin e della cagnetta Laika. Quella della rapina di via Osoppo, del secondo governo Fanfani, del delitto Martirano e di Papa Giovanni XXIII°. In poche parole, quella di un Italia 'piccola piccola' che non c'è più. Avessero fatto almeno una statua a Aiché Nanà... (Gericus)[FOTO: Aiché Nanà durante la famosa esibizione al Rugantino]
venerdì 17 ottobre 2008
LA SCARAMANZIA DEL VENERDI' 17...
giovedì 16 ottobre 2008
BEATLES: C'ERA UNA VOLTA...
mercoledì 15 ottobre 2008
PIETRO MASO: ORA SONO UN ALTRO...
martedì 14 ottobre 2008
LA MALEDIZIONE DEL MONTE BIANCO #2
AOSTA - Che la tragedia del Costellation "Malabar Princess" (foto d'archivio dell'aereo)dell'Air India si sia consumata tra le nevi del Monte Bianco ormai è nella convinzione di tutti. A Courmayeur, sia come a Chamonix, gli uomini del soccorso alpino scrutano il cielo, sebbene le condizioni atmosferiche di quel venerdì 10 novembre 1950 non lascino scorgere neppure la catena del Bianco. Impossibile muoversi ,e così pure lo è per il sabato successivo, dove sporadici tentativi di salita naufragano ai primi passi. Anche dall'alto, purtroppo, una grossa coltre di nuvole grigie copre la vetta del Bianco, rendendo vana anche una ricognizione di un aereo della Swiss Air in procinto di atterrare all'aeroporto di Ginevra. Bisogna aspettare addirittura la domenica dopo, quando grazie ad una schiarita, il pilota di un altro aereo di linea svizzero che sta sorvolando la zona, riesce con un binocolo a scorgere il teatro del dramma. Sul versante italiano del Bianco ad un centinaio di metri sotto la vetta, nota un ala del Constellation ricoperta da un cumulo di neve. Della fusoliera invece, nessuna traccia. Subito comunicato l'avvistamento ai soccorritori, questi si predispongono all'intervento sia dal lato italiano che da quello francese. Il rischio però è alto, poiché mai nessuno in novembre ha tentato il Monte Bianco, a causa di continue valanghe e neve fresca che copre i crepacci. Per non correre ulteriori pericoli quindi, si opta di intervenire con un velivolo e paracadutare i soccorritori sul luogo della sciagura. Lunedì mattina alle 7,30, il comandante Gurion, sicuramente il più temerario aviatore francese di montagna, decolla dall'aeroporto La Fayet con il maresciallo Flottard, comandante della scuola militare alpina di Chamonix e coordinatore dei soccorsi. La loro missione, è individuare la posizione del relitto, corpi ed eventuali sopravvissuti. Sorvolando a bassa quota la vetta, i due scorgeranno parte dell'aereo adagiato poco sotto la cresta del Bianco, a un migliaio di metri dal rifugio Vallot. Nel micidiale impatto, il potente quadrimotore ha perduto l'ala destra sul versante italiano, poi, scivolando sull'abbondante neve, ha seminato rottami e cadaveri per oltre un chilometro sul versante francese. I segni inequivocabili dell'impatto contro la roccia lasciano allibiti gli osservatori. Solo 15 metri d'altezza in più e l'aereo si sarebbe salvato. (Gericus) [fine seconda parte. Continua]
NEL NOME DEL PADRE..
E' duro vivere nel nome del padre, e la recente scomparsa di Guillaume Depardieu, 37 anni, figlio del mostro sacro del cinema francese Gerard, ne è la conferma. Da sempre in conflitto con quell'ingombrante cognome, Guillame non aveva certo vissuto una vita tranquilla, tanto da diventare ben presto un ribelle per scelta, sicuramente per sfuggire dall'umiliante posizione di "figlio di...". Amante della rissa, gran bevitore e non ultimo, consumatore di sostanze stupefacenti, -nel 2003 era finito dietro le sbarre-, Guillaume aveva cercato però di seguire le orme paterne nel mondo del cinema, ottenendo tra l'altro un discreto successo. Una vita però vissuta di fretta, alla James Dean, tanto che come l'icona del cinema americano, anche lui amava motori e velocità, tanto da sfiorare la morte in un incidente accadutogli nell'ottobre del '95, quando con la moto si schiantò correndo come un matto. Riuscì a cavarsela perdendo una gamba, mai guarita dall'incidente e aggredita dalla cancrena. Una vita in conflitto col nome e con la sorte, ma soprattutto col padre, mai perdonato per aver divorziato da sua madre, Elizabeth, attrice pure lei, che rinunciò alla carriere per stare vicino al figlio nei momenti dell'incidente. Il cinema sembrava appagarlo, e a detta di molti critici, Guillaume avrebbe potuto avere un futuro di successo, dopo essersi messo in luce nel suo primo ruolo importante nel film "Tutte le mattine del mondo" di Alain Corneau, recitando per la prima volta accanto al padre. Strafottente e duro, ad un giornalista che gli chiedeva perché avesse accettato di fare un film con la guerra, rispose semplicemente "perché nel titolo c'è la parola 'guerra'". Pur se la sua guerra personale fosse contro il padre, recentemente sembra che le cose stessero in qualche modo cambiando, tanto che in un altra intervista/confessione, era riuscito a pronunciare "papà, je t'aime". Il suo viaggio è terminato ieri notte all'ospedale Garches di Parigi, stroncato da una polmonite fulminante, un virus forse contratto in Romania durante le riprese di "De la guerre". L'ultima guerra appunto della sua vita. (Gericus) [foto: Guillaume col padre Gerard]
lunedì 13 ottobre 2008
LA LEGGE DEL PIU' FORTE
NIENTE CRISI SULLA STRADA...
MILANO - Altro che vittime di pimps (magnaccia) o negrieri! La strada? E' un business che non teme crisi né svalutazioni di mercato. Ce lo conferma una certa Lorena, prostituta con 30 anni di marciapiede: "Ho comprato otto appartamenti, ho sistemato i miei figli e ho un bel gruzzolo in banca con tanti zeri". Mica scema la tipa, e come se avesse scalato una carriera imprenditoriale, racconta pure ai giornalisti del Corriere come ha cominciato. Di certo, agli esordi, deve essere stata una bella ragazza, e dal momento che ogni capufficio che si rispetti, ci tenti con le segretarie, questa "opportunità" capitò anche a lei, semplice impiegata a un milione al mese. Gambe lunghe, occhi verdi e capelli corvini che le scendevano fin sulle spalle, Lorena così ricevette la sua prima "proposta indecente", con l'aggiunta che se avesse accettato, avrebbe ricevuto anche "un bel regalo". Risate di circostanza e gentili rifiuti da parte di Lorena, poi, un giorno, la "folgorazione": "Ci vengo se mi dai un milione". E così, un po' per gioco un po' per sfida, la donna si ritrovò in una camera d'albergo della città durante la pausa di pranzo: "Mi diede 700 mila lire e non la cifra che avevo chiesto io". Beh, dato che in mezzora aveva "guadagnato" quasi ciò che metteva insieme in un mese di onesto lavoro, fece due conti e le sembrò logico... cambiare professione. Prima del grande passo però, un paio di "prove" al sabato e alla domenica, che le bastarono a mettersi in tasca 2 milioni e 600 mila lire. Furono sufficienti per prendere la decisione. Mollò il lavoro "e mi mollò anche mio marito", restando sola con due figli piccoli da portare avanti. La parte economica certo non la spaventava, perché quei 25/30 clienti al giorno a 100 mila lire a prestazione "bastavano e avanzavano". Trent'anni di questo ritmo, con l'età che galoppa e la bellezza che sfiorisce, i rischi delle notti milanesi e per ultimo, la concorrenza delle migliaia di prostitute straniere, che però, con un moto d'orgoglio, Lorena mette subito in chiaro: "Se scendessi ancora in strada, sono certa che avrei sempre i miei clienti, magari anche quelli che ho visto crescere". Oggi, Lorena non rimpiange niente del suo passato, anzi, è ben felice di quello che ha fatto, perché grazie al marciapiede, dice, "ho una figlia laureata di 26 anni e un figlio di 33 esperto in computer, e soprattutto, quello che più conta, non hanno mai saputo niente del mio passato". (Gericus)
domenica 12 ottobre 2008
PIMP MY VALLEY? PIMP SARAI TU ! #2
AOSTA - Se c'è una cosa che fino a ora "Pimp My Valley" ha sortito, è lo scontro di opinioni che ne è seguito dopo la pubblicazione sul mio sito. Undici addirittura nel giro di un giorno. Senza entrare nel merito artistico della "trovata", i pareri sono abbastanza concordi nel bocciare l'iniziativa, poiché, almeno da quello che si legge, l'intero castello promozionale non ha senso per troppi motivi, il primo dei quali, quella parola (Pimp) dai troppi significati. Anche il Corriere della Sera si è "scomodato" per parlarne in manira negativa, tanto che in una lettera giunta al nostro sito, un anonimo internauta afferma che "fuori dai nostri confini regionali, di noi si parla esclusivamente se c'è un delitto orrendo come quello di Cogne oppure nel caso di una campagna pubblicitaria strampalata", concludendo la lettera con un "grazie presidente Rollandin per averci evitato un altra figura di m...". Un certo Maurizio da Roma invece ci porta a conoscenza del significato della parola inglese "Pimp", e così pure fa una certa Renata da Sarre, ricordando oltre alla parola sopra elencata, anche il significato dei suoi derivati, che non sono affatto gradevoli. Un bloggher (l'Ostile ), imputa ai "creativi senza idee" di cadere nel volgare, l'eccessivo uso della lingua straniera e soprattutto, quella voglia di creare paccottiglia "gggiovane" fatta da non giovani, finendo il suo intervento con "grazie a voi avete un presidente lungimirante, l'uomo giusto al posto giusto". Ma c'è anche una voce fuori dal coro, quella di Luca Ghiorzi dell'hotel du Nord di Sarre che approva l'iniziativa, poiché -dice- "svegliando l'interesse dei giovani potremo avere i turisti del domani". E infine che dire. Abbiamo avuto "l'0nore" di due interventi del rapper che ha preso parte alla campagna, tale Corrado, al secolo Mec Namara, il quale -giustamente- dopo aver elogiato il lavoro fatto, ci accusa di pressapochismo, poiché avvicinare a "Pimp My Valley" una traduzione come "La mia Valle Magnaccia" è una vera idiozia. Pimp, spiega, ancora Mec Namara, "è entrato ormai nel nostro vocabolario" e poi, 'tout court', si domanda se chi "ha scritto questa roba -alludendo a me naturalmente- abbia assistito almeno alla presentazione del lavoro", chiudendo il suo intervento con un "attendo notizie". A parte la presunzione di pensare che lo slang rapper da lui usato debba rappresentare il parlato quotidiano, e dal momento che le notizie non gli erano ancora arrivate -se non da me però da altri bloggher-, un attimo fa Mec Namara ha postato di nuovo un suo intervento: "Avete la classica sindrome da 'scrittori blog'. Riprendetevi, parlate senza conoscere nulla. Nessuno di voi ha visto niente, quindi astenetevi. In attesa di un autocensura da parte vostra. Cordiali saluti". Dunque, prima di tutto credo che la critica, quando non è offensiva, debba essere sempre accettata, pertanto, il signor Mec Namara deve mettersi il cuore in pace. No,non ho visto la clip mostrata recentemente, ma mi è bastato lo slogan, eccessivo e fuorviante. Sarà poi che il rap, dopo un paio di pezzi, mi fa girare la testa a forza di mani rotanti e parole che si rincorrono o più semplicemente, sarà perché amo la mia regione,-cosa più che probabile- le dico tranquillamente, signor Mec Namara, che per promuovere la Valle d'Aosta, mi creda, "rap e pimp proprio non ce li vedo". (Gericus)
ELUANA: LA MORTE RINVIATA
LECCO - Eluana Englaro (foto) è lì, in quella cameretta della clinica Beato Talomoni , dove da 16 anni è sospesa in quel limbo di "non vita né morte", e in attesa di un evento, fisico o giuridico che ne decida la sorte. Ieri, si era pensato che il destino avesse preso in mano la situazione, con quell'emorragia che non tendeva a bloccarsi, una perdita di sangue devastante per un fisico ormai provato. Misteri della vita -e della morte- inspiegabili, poiché nonostante l'accordo tra genitori e medici di non effettuare accanimenti terapeutici, l'emorragia è scomparsa totalmente nella notte. Era la notte precedente quando il telefono di casa aveva squillato per avvisare papà Beppino, che forse la storia di sua figlia Eluana era giunta alla fine. Chissà quale pensiero sia passato nella testa di quest'uomo, di questo papà che una sera di molti anni fa vide uscire sua figlia di casa, sorridente come solo le ventenni sanno essere, senza sapere che quello sarebbe stato l'ultimo sorriso prima del baratro. Sedici anni di vuoto, di silenzi incolmabili, di speranze disattese, dolori ormai troppo pesanti da sopportare. Se Eluana supererà questa crisi, riprenderà il via la battaglia per "la dolce morte", cioè la sospensione della nutrizione forzata, quella che già aveva autorizzato la Cassazione giorni fa. E in mezzo a tutto c'è lei, Eluana Englaro, da tanti anni ormai testimone involontaria di quanto difficile sia morire... se non di vivere. (Gericus)
sabato 11 ottobre 2008
VOLEVO IL ROSSETTO
REGGIO EMILIA - Sarida, una marocchina diciannovenne nata in Italia, non voleva la luna. Voleva solo vivere all'occidentale, niente più e niente meno. Voleva fare come le sue coetanee italiane, raggiungere un indipendenza economica attraverso un onesto lavoro e poi, mettersi semplicemente un po' di rossetto sulle labbra. Ma vaglielo a spiegare ai genitori, padre 57 anni e madre di 48, provenienti da Marrakesh e da una ventina di anni in Italia, che in fin dei conti quella figlia voleva solo essere "libera e indipendente" come milioni di altre ragazze della sua età, ragazze che escono la sera, che vanno a ballare e che hanno un ragazzo, magari per una sola notte o per tutta la vita. L'arretratezza culturale è un brutto ostacolo a questa integrazione "voluta a tutti i costi" e difficile da attuare, là dove usi, costumi e religioni sono agli antipodi e dove il fondamentalismo islamico chiude la porta in faccia a desideri e aspirazioni. Per Sarida quindi (nome inventato), una vita che diventava un incubo giorno dopo giorno, con percosse e sequestri in casa, telefonate del padre al datore di lavoro nelle quali invitava questi a licenziarla "perché non abbiamo bisogno dei tuoi soldi" e infine, calci e pugni alla figlia sferrati da padre e madre davanti alla fermata dell'autobus e sotto gli occhi di altre persone, che telefonavano immediatamente ai carabinieri. Una storia di violenze dunque, tenuta nascosta per anni e poi sfociata in procura, in un fascicolo adesso in mano al pubblico ministero Maria Rita Pantani. Sarà lei a cercare di fare chiarezza in questo caso di "integrazione negata", dove si configurano reati da codice penale quali violenza privata e sequestro di persona. E mentre questa brutta storia compare tra le pagine di cronaca di ogni quotidiano, nessuna condanna arriva invece da parte della comunità islamica locale, tanto che il suo rappresentante, tale Mohammed Yunes, commenta che "Ci sono anche genitori italiani che picchiano la figlia perché mette la minigonna". Bella risposta. Nessuno forse gli ha detto che tutto ciò "e in sporadici casi", avveniva oltre 50 anni fa... (Gericus)
venerdì 10 ottobre 2008
PIMP MY VALLEY? PIMP SARAI TU...
AOSTA - Certo questi "creativi"! Ora va bene partorire idee che scioccano, ma quando queste idee scadono oltre che nel ridicolo, nel turpiloquio, beh, è il momento di intervenire. E così ha fatto Augusto Rollandin, presidente della Regione, quando gli è stata presentata la nuova campagna pubblicitaria on line della Valle d'Aosta, dall'accattivante titolo "Pimp my Valley". Creata dall'art designer Alessandro Orlandi dell'agenzia pubblicitaria 'Saatchi and Saatchi', c'era nell'intenzione di questo "creativo" di dare un immagine 'giovane e rap' alla Valle d'Aosta, sebbene il sostantivo inglese, "pimp" abbia un significato nella sua lingua che proprio non si addice ad una regione in cerca di turisti. Orbene, scendendo nei particolari linguistici dunque, "pimp" -come recita il nuovo dizionario Garzanti, e come si sa bene nei bassifondi di New York- significa letteralmente "magnaccia, protettore". Per i turisti di lingua inglese pertanto -Americani, Neozelandesi, Australiani, Regno Unito e altri ancora-, la frase pubblicitaria potrebbe anche suonare come "La mia valle magnaccia". Niente male come campagna pubblicitaria che nasce con l'intento di magnificare la nostra stupenda Valle d'Aosta. Augusto Rollandin, certamente allibito "da tanto ardore creativo", giustamente ha detto "No", bocciando 'tout court' l'idea. Per questa volta ci è andata bene. Siamo sicuri infine che si debba essere "creativi" per accalappiare turisti, quando invece sarebbe più che sufficiente mostrare semplicemente ciò che Madre Natura ha elargito a piene mani alla nostra regione? ... (Gericus)
LA MALEDIZIONE DEL MONTE BIANCO #1
AOSTA - Il 10 novembre 1950, è una giornata grigia e fredda sulla Valle d'Aosta. Nubi basse e precipitazioni di neve qua e là attanagliano la regione nel pieno dell'inverno. In quella stessa giornata e a migliaia di chilometri di distanza, un Lockheed Constellation, (foto di repertorio) un quadrimotore di linea dell'Air India battezzato "Malabar Princess", si stacca dall'aeroporto di Bombay con a bordo 40 passeggeri della Marina mercantile diretti in Inghilterra e destinati ad armare una nave da carico, oltre ad otto membri dell'equipaggio. Ai comandi dell'aereo, un pilota inglese con alle spalle numerose ore di volo. Terminato il lungo tragitto sopra il Mediterraneo e dopo aver sorvolato il Nord/Ovest dell'Italia, da un altezza di 5000 metri il potente quadrimotore inizia la discesa per uno scalo tecnico in Svizzera, il secondo, dopo quello effettuato al Cairo in Egitto. E' sopra la città di Voiron (Francia) che il pilota avvisa la torre di controllo dell'aeroporto di Genève-Cointrin dell'imminente arrivo, ricevendo l'ok dai controllori di terra svizzeri. In quella tarda mattina di novembre, i primi amanti della neve sono già arrivati a Courmayeur (Valle d'Aosta), in quella che tutti considerano, viste le abbondanti nevicate già avvenute, una stagione eccezionale dal punto di vista turistico. E' verso le 10,45 che un immenso boato scuote la zona. In molti alzano gli occhi al cielo, poiché un attimo prima era sembrato di udire anche il rumore di un aereo, ma quelle nubi grigie e basse che nascondono la catena delle Alpi non lasciano intravedere niente. Chissà, forse un tuono lontano... All'aeroporto di Ginevra intanto c'è un certo scompiglio. Le tracce sui radar dell'aereo indiano sono scomparse dai monitor. Ancora non viene lanciato l'allarme, poiché si spera in un oscuramento dovuto a chissà quale causa naturale, e tra queste, in primo luogo, le condizioni del tempo, pessime nella zona in cui vola il Constellation. E' allo scadere delle tre ore di autonomia di volo stimata in base alla capienza dei serbatoi dell'aereo che la certezza di un disastro è ormai chiara, tanto più che alcune telefonate nel frattempo giunte, parlavano di un sinistro boato percepito sia al di qua che al di là del Monte Bianco. E' allarme generale dunque, trasmesso da tutte le antenne dell'arco alpino, dove Forze dell'ordine e Soccorso di montagna sia italiani che francesi si mettono in movimento. [Fine Prima parte] (Gericus)
mercoledì 8 ottobre 2008
GIALLO DI GARLASCO: L'ORA DELLA VERITA'
venerdì 3 ottobre 2008
VLAD, UN AMICO ROMENO
Una lettera arrivata dalla Romania, scritta da Vlad in inglese, e che io, volentieri, pubblico qui riassumendola in italiano. Arriva in risposta al post precedente, quello in cui critico l'idea di uno spot pubblicitario che attualmente sta girando sulle nostre televisioni. Come se ai tempi dei disastri di Al Capone a Chicago, il Governo italiano avesse mandato negli Stati Uniti spot pubblicitari sulla bontà degli italiani che "amano masticare gomma americana".Questo pertanto è ciò che scrive in merito l'amico Vlad:
"Ciao Gericus, sono un romeno che vive e lavora in Romania, e, come molti altri, si destreggia abbastanza bene con la lingua italiana, sebbene non la parli correttamente e non sappia scriverla. Questo è il motivo del mio scrivere in inglese, sperando che tu capisca. Solo un paio di pensieri sul tuo post e sulla campagna che va in onda in tv in questi giorni in Italia. Anch'io non penso, che pochi spot pubblicitari, siano in grado di cambiare molto l'opinione degli italiani sui romeni, ma almeno, qualcuno cerca di farlo. Non sono un avvocato del Governo che dice questo. C'è un profondo interesse in Romania su ciò che succede in Italia. La gente è imbarazzata per le violenze che hanno per autori cittadini romeni. Molti, qui, si considerano colpevoli a causa della responsabilità di una minoranza. Brutti ricordi ancora vivi, riportano a comunità romene che hanno avuto duri scontri, circa 15 anni fa, con la popolazione romana. Ma per favore, non pensare che l'intero popolo romeno sia fatto da ladri, assassini, stupratori e altro ancora. Ciò è assolutamente falso e spregiativo. Io sono stato numerose volte in Italia, solo come turista. Nazione meravigliosa, e gente straordinaria. Dopo 4 anni di pausa, tornerò di nuovo a Roma questo autunno, e questa volta con mia madre. Il mio intento è di mostrarle la città, lei è un amante della storia e da giovane stava per diventare un archeologa. Il mio più grande pensiero, è che qualcuno sentendomi parlare in romeno per le strade di Roma, sputi o inveisca contro di me e mia madre (lei è una donna anziana). Tutto ciò sarebbe la fine di una bellissima amicizia tra me e l'Italia. E ciò non dipenderebbe da me, perché io sono solo una persona normale che segue la legge dappertutto. Vuoi sapere una cosa? Forse parlerò in inglese o in francese :-)"
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Una lettera bellissima caro Vlad, che io condivido pienamente. Devi capire, che non è il popolo Romeno nella sua interezza ad essere malvisto dagli italiani, ma semplicemente lo sono i delinquenti stranieri, molti dei quali, purtroppo, -e tu ne hai la consapevolezza- sono tuoi connazionali. Per natura, il popolo italiano è sempre stato aperto verso gli stranieri, ospitale e tollerante, una tolleranza però che crimine dopo crimine è andata scemando, ma che al di là della rabbia, non è sfociata in razzismo né contro la tua etnia né contro le altre che si sono insediate tra di noi. Pertanto, caro Vlad, vieni pure in Italia e mostra a tua madre quella Roma che ama tanto, e vai tranquillo, perché nessuno ti importunerà, ci mancherebbe altro. Voglio infine chiudere questo mio intervento con un "grazie" per aver scritto una lettera così bella e intelligente. Una lettera che da sola vale molto di più di quella campagna messa in atto dal tuo Governo, perché lì si recita solamente, è una pubblicità e basta. La tua lettera, invece, è verità, è il vero cuore del popolo Romeno.
Un caro saluto da Gericus e... buone vacanze a Roma.
giovedì 2 ottobre 2008
ROMANIA, PIACERE DI CONOSCERTI...
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