sabato 18 ottobre 2008

MOSTRI IN CASA, MOSTRI IN LIBERTA'

Doretta Graneris e Guido Baldini, Erika di Nardo e Omar Favaro, Pietro Maso, Ferdinando Carretta... Cos'è che hanno in comune questi nomi? Una famiglia sterminata con le proprie mani alle spalle e poi, una pena "che pena non è stata". Eccetto un caso -quello di Carretta-, tutti si sono macchiati del sangue dei loro cari per avidità, per denaro. Ma partiamo dalla strage di Vercelli, quella avvenuta il 13 novembre 1975. Doretta Graneris, 18 anni, per bruciare le tappe della sua vita, decise una vera mattanza della propria famiglia, e per metterla in atto, si avvalse della collaborazione del fidanzato, tale Guido Baldini, di un paio d'anni più grande. Fu una strage. A colpi di pistola, uccisero uno dopo l'altro il padre, la madre, il nonno e la nonna materni e infine, il fratellino di 13 anni. Quest'ultimo, nel vano tentativo di sfuggire alla morte, si era nascosto sotto ad un tavolo, ed è lì che fu trovato. Una scena terribile si presentò davanti agli occhi dei carabinieri. In quella cucina diventata un mattatoio, il cadavere del nonno fu rinvenuto seduto su una sedia davanti al televisore ancora acceso, e poi, sparsi in un lago di sangue, gli altri corpi. Non resse molto l'indifferenza di Doretta, né tanto meno quella del fidanzato. Per tutti e due, rei confessi, il tribunale li condannò all'ergastolo. Un'altra coppia "diabolica" è quella di Erika Di Nardo e Omar Favaro, sedicenni entrambi, e teatro della strage è Novi Ligure. Era il 21 febbraio 2001 quando la polizia, avvertita dagli stessi assassini, si precipitò in casa Di Nardo. Orrendamente uccisi a coltellate, la madre Susy e il fratellino di Erika, Gianluca di 11 anni. Nei piani di morte però, rientrave anche il padre della giovane. "Sono stati degli stranieri" furono le prime parole di Erika. Qualcosa però non quadrava, e per gli inquirenti non ci volle molto per arrivare alla verità. "Si, siamo stati noi" confessarono i due fidanzatini. Vennero condannati lei a 16 anni di reclusione e lui a 14. Di Pietro Maso, il carnefice di Verona, abbiamo già parlato ampiamente in un recentissimo post, pertanto, l'altro nominativo che completa questo poker di assassini in famiglia, è Ferdinando Carretta, oggi 46 enne. Era il 4 agosto 1989 quando la famiglia Carretta, ufficialmente partita col camper per una delle solite vacanze, scomparve nel nulla. Sarà una parente, a fine settembre, a lanciare l'allarme, visto il silenzio dei congiunti. Spariti volontariamente o tutti morti? Ferdinando Carretta, circa dieci anni dopo, veniva rintracciato dall'Interpol a Londra, dove nel frattempo si era trasferito. Estradato immediatamente in Italia ammise le sue colpe. Con una pistola, tra le pareti domestiche uccise prima il padre Giuseppe, poi la madre Marta, e infine, con i cadaveri dei genitori in un lago di sangue, attese per alcune ore il rientro a casa del fratello Nicola, di un paio di anni più giovane. Che uccise senza una parola. Per lui, il tribunale di Parma riconobbe l'incapacità di intendere e di volere, affidandolo di conseguenza ai medici di una casa di cura. Qual'è dunque il filo che lega queste quattro aberranti storie di sangue? E' che tutti i responsabili, dopo aver sterminato le loro famiglie, hanno beneficiato incondizionatamente di sconti di pena, vacanze premio (Erika) e nonostante ergastoli o decine di anni da scontare, qualcuno è già fuori da da tempo (Graneris), Ferdinando lo è da poco, e altri presto lasceranno "l'hotel Rebibbia". La motivazione? Una buona condotta interna e forse, un pentimento "vero o fasullo", poco importa alla resa dei fatti. Le "quattro pareti" di una cella dunque "cambiano l'uomo" e lo ridanno alla vita. Peccato che invece le quattro assi di legno di una bara non facciano altrettanto... (Gericus) ,

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