martedì 19 febbraio 2008

LA "VERITA'" DI OLINDO

C'è qualcosa che non va, così, un sesto senso. Lo guardo, lo ascolto, poi... no, quella sua voce piatta, melliflua non mi convince. Mi da la sensazione di uno che, capito l'orrore fatto, cerchi di allontanarsene il più possibile, ricorrendo pertanto alla ritrattazione più falsa e incongruente. Olindo Romano, (foto) il gigante "cattivo" che prepotentemente dettava legge in quel condominio di via Diaz ad Erba, ora mostra quello che è: un uomo davanti alle sue responsabilità. "Quei carabinieri mi hanno fatto il lavaggio del cervello, per questo ho confessato" ammette. Gli avevano prospettato -dice lui- che tra rito abbreviato, buona condotta e attenuanti -lo schifo della legge è anche questo purtroppo!- con cinque anni se la sarebbe cavata, perciò "ho preso la decisione di non dire la verità ammettendo che ero stato io, io da solo, e non con mia moglie Rosa". Ora, a prescindere dal fatto che la paura di un ergastolo possa essere devastante, io ritengo che qualsiasi persona "innocente" e sana di meningi, non si accolli una carneficina simile con la paura della prigione a vita -che poi oggi non lo è più- ma cerchi in tutte le maniere di dimostrare la sua completa estraneità al fatto, attraverso testimonianze e deposizioni inattaccabili. NO, non mi convince per niente Olindo Romano con questa sua spiegazione dei fatti, anzi, mi disgusta enormemente la sua miseria morale, quella cioè di accollarsi una strage per poter scampare ad un ergastolo, come se la sua libertà fosse più importante di cinque persone sgozzate come agnelli. (Gericus)

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