Era un percorso obbligatorio, pertanto il tramonto del cd era inevitabile. Si, perché il cosiddetto "vinile", ovvero la materia con cui era fatto il vecchio "33" o il "45" giri, oltre che portare con se la magia delle copertine -foto dell'artista in studio ed altro ancora- ti donava la "sensibilità del momento", cioè quel leggero fruscio che la 'puntina' produceva sfiorando i 'solchi'. Il pericolo dei graffi era sempre dietro l'angolo, d'accordo, ma la meticolosità con cui si eseguiva l'intera operazione della posa del disco sul giradischi, faceva si che l'album -e l'artista- acquistasse di conseguenza ancora più valore di quello effettivo. La tecnologia ci ha ingannati, pur se in certe cose aveva ragione, poiché senza "strusciamento" ci sentivamo immersi nel suono. Onestamente siamo stati "conquistati" dal cd, ma il problema è che "non lo abbiamo mai amato", si, perché il "vinile", con tutti i suoi limiti, era pur sempre "musica diretta" e non contraffatta dal digitale. Vuoi mettere il famoso "long playing" accanto al cd? No, non tiene il confronto, e oggi la riprova che mai ci eravamo dimenticati del vinile arriva da quei dati usciti recentemente, i quali asseriscono che in Italia nel 2007, la vendita su "vinile" ha registrato un clamoroso +250%, segnando di fatto, se non la fine, una certa inversione di tendenza a discapito dei cd. Un esempio? Per un "long playing" in vinile -in questo caso quello dei Red Hot Chili Pepper- si deve sborsare la bella cifra di 89 euro, mentre i "classici" in cd - Bowie, Cure, Doors, Deep Purple, Eagles, Led Zeppelin, Alan Parson, Santana, The Who- vengono ormai venduti a prezzi di saldo, vale a dire non più di dieci euro. E' il trionfo del "vecchio sul nuovo" dunque, e che trova d'accordo anche un grande della musica, un certo Bob Dylan, il quale senza mezze misure lo ammette: "Il compact fa schifo". Amen. (Gericus)
[foto: Lp: The Police. Reggatta de Blanc. 1979]
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