venerdì 2 settembre 2011

Libia: la resa dei conti

Gheddafi, topo ormai in trappola, dal suo rifugio segreto lancia un drammatico appello ai suoi seguaci: "Bruciate il Paese!", mentre 50.000 sono già i morti secondo fonti NATO. Siamo bel lontani dal pensare dunque che il conflitto interno sia all'epilogo, con i vincitori trionfanti e gli sconfitti ormai arresi, perché come si sussurra da più parti, "ci prepariamo a un altra guerra", come dice Ibrahim, 26 anni, kalashinikov in spalla e 1200 uomini al suo comando, una delle più importanti colonne delle truppe che hanno conquistato la capitale. Il motivo di tali parole è presto detto: ogni quartiere di Tripoli ha la sua milizia, la sua appartenenza, il suo credo politico e soprattutto religioso. Una dichiarazione di guerra dunque, con al centro la nomina del generale Abdel Belhadi a comandante militare della piazza di Tripoli, proveniente da uno dei più importanti centri di ispirazione del fondamentalismo islamico. "Non ci piace lui né il suo trascorso, quindi o se ne va o lo cacciamo noi" ammette senza esitazione ancora Ibrahim, e non sono parole buttate lì per creare effetto: "O ci ascolta o ascolterà le nostre armi. Abbiamo liberato Tripoli una prima volta e la libereremo di nuovo". Poteri che si scontrano dunque e una città -e una nazione- che ricorda il Libano, composta da mille milizie senza pace. Fondamentalismo islamico che mette dunque le radici per una Libia in stile iraniano? Chi comanda dunque in questo momento? Il CNT (Comitato Nazionale di Transizione) ha l'appoggio del popolo libico? Più che di "primavera araba" mi sembra "un incerto autunno" dai colori rosso sangue. Mentre l'Occidente esulta e si prepara -troppo presto- all'incasso...

1 commento:

Anonimo ha detto...

Forse e' in casa di Berlusconi a rifugiarsi quella canaglia infame non scordatevi come fu' accolto dal Berlusca nella sua visita in Italia.