giovedì 26 marzo 2009

AGENZIA DI LAVORO REGINA COELI - ROMA

ROMA - A volte quanto è producente battere la testa nella famosa arcata che conduce alle celle di Regina Coeli, quell'arcata nella quale "se non ci batti la capoccia non sei un vero romano", frase tante volte pronunciata nelle commedie cinematografiche italiane. Non so se Karol Racz, (foto) il romeno prima inquisito poi prosciolto per lo stupro della Caffarella, ce l'abbia battuta visto la sua altezza, però c'è passato sotto a quell'arcata. C'era arrivato in manette dopo essere stato chiamato in correità dall'amico Alexandru Loyos, fino a quando, grazie a quelle tracce di Dna che non corrispondevano, l'altro giorno, lunedì 23 le porte del carcere gli si sono -giustamente- aperte. Ad attenderlo fuori dal portone della prigione, ha trovato una Mercedes metallizzata con tanto di autista, fotografi e telecamere. E lì è iniziata la favola. Albergo quattro stelle, finalmente una doccia, un pasto come si deve, abiti nuovi e su misura e poi, la ribalta della televisione, nel salotto di "Porta a Porta" ospite di quel 'marpione' di Bruno Vespa. Beatificazione del romeno, cenere cosparsa sul capo di tutti gli ospiti, lui che racconta la sua passata vocazione di farsi prete e poi, l'onestà, "solo una contravvenzione non pagata" sulla sua fedina penale, dimenticandosi però di tre soggiorni già passati nelle patrie galere romene per imputazioni che vanno dal furto alla ricettazione. "Ecco quando è stato il battesimo di Karol il pasticcere -come si legge sul sito Dagospia- dietro le sbarre: 12 giugno 1997 con tre anni di reclusione -tribunale di Fagaras-. 1998, altri 3 anni e tre mesi, condanna emessa dal tribunale di Brasov e notificata al Razc in carcere, e infine, tra cumuli e sconti di pena, l'aspirante 'monaco ortodosso' ha ricevuto la terza condanna nel 2000, un altro anno e mezzo di reclusione, condanna emessa ancora dal tribunale di Fagaras". Questo il 'palmares' del romeno, e noi invece lì a commentare quanto siano cattivi gli italiani che hanno tenuto in cella per 35 giorni un innocente e onesto "romeno". E come se non bastasse, il coro 'salottiero' implorava: "E' bravo Racz, è buono, troviamogli un lavoro", e lui lì a non capire il perché di tutto questo genuflettersi. Ma i romeni -avrà pensato- non erano odiati dagli italiani? Sicuramente avrà fatto anche il confronto se tutto ciò fosse accaduto non in Italia, bensì in Romania. Là, non avrebbero suonato le campane per la sua liberazione e in un caso simile, lo avrebbero buttato fuori senza neppure lo straccio di una Trabant che lo raccogliesse, senza il clik di un paparazzo qualsiasi e figurarsi poi, di trovare una tivù locale a riprendere le sue lamentele. Certo è uno strano Paese quest'Italia, avrà continuato a pensare il nostro Karol, e tanto più lo avrà scoperto quando gli sono cominciate a piovere addosso le offerte di lavoro, di ogni tipo e da ogni parte, col solo imbarazzo della scelta. Posti di lavoro dunque, alla Coop o in un noto ristorante, pronti ad essere offerti come risarcimento morale a questo sfortunato "povero straniero", come d'altronde era già successo con Azouz , che però rifiutò sdegnato. Qual'è la morale di tutto ciò? La via più breve per ottenere un posto di lavoro, oltre alla ribalta televisiva, cari giovani e onesti cittadini disoccupati, è farsi 35 giorni in galera, o se meglio vogliamo, all'Agenzia di Lavoro di Regina Coeli, a Roma. Sembra che funzioni... (Gericus)

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