Norma Cossetto era una bella ragazza di 24 anni di San Domenico di Visinada. Studentessa modello, stava per laurearsi in lettere e filosofia all'Università di Padova, e per preparare la sua tesi, girava l'Istria pedalando su una vecchia bicicletta. Il 25 settembre 1943, un gruppo di partigiani slavi irruppe in casa sua, razziando ogni cosa. Non se lo sarebbe mai aspettata, perché a pensarci bene, la sua non era una famiglia da considerarsi ricca, e poi, in tempi simili... Il peggio però doveva ancora arrivare, e questo lo capì il giorno successivo, quando la stessa banda di slavi ritornò, portandola via. Primo luogo della sua detenzione fu la caserma dei carabinieri di Visignano, dove in tutte le maniera, cercarono di convincerla a collaborare con loro. Al suo netto rifiuto, la donna fu condotta e rinchiusa a quel punto della ex caserma della Guardia di finanza a Parenzo, assieme ad altra gente del posto. Dopo un paio di giorni, Norma e tutti gli altri prigionieri furono di nuovo spostati, condotti con camion questa volta nella scuola di Antignana ,ed è lì, che per lei, iniziò un vero e proprio martirio. Condotta da sola in una stanza, qui fu spogliata e legata ad un tavolo, poi, a turno, ripetutamente violentata dai suoi 17 aguzzini. Una donna, residente in una casa vicina testimoniò: "Sentii urla e lamenti per tutto il pomeriggio provenire da quella casa, poi, verso sera, osai avvicinarmi alle finestre che avevano le imposte socchiuse per dare un occhiata. E la vidi, ancora legata nuda ad un tavolo che chiedeva acqua e pietà...". La notte stessa, Norma Cossetto, ancora in vita, fu portata in una Foiba delle vicinanze e gettata nel baratro. Due settimane dopo, il 13 ottobre 1943, a San Domenico ritornarono i tedeschi. Fu Lucia, la sorella di Norma, a denunciare il fatto ai militari, i quali, in breve tempo, riuscirono a catturare sei dei diciassette vili stupratori. Nello stesso tempo, il corpo di Norma fu recuperato dalla foiba e composto nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellerier. I sei partigiani slavi arrestati, furono obbligati a passare l'ultima notte della loro vita a vegliare quella salma da loro stessi brutalizzata più di due mesi prima. Restarono soli tutta la notte con la loro vittima sotto gli occhi. Tre di essi impazzirono, e all'alba, senza nessuna compassione, caddero con gli altri fucilati a colpi di mitra.
Una sola storia a ricordo degli italiani trucidati sul confine orientale, martiri cui mai è stata resa giustizia a causa di Governi pavidi e ragioni politiche. Quanti? La "conta" parte da 15.000 per arrivare, secondo alcuni studi, a 50.000. Basti pensare che nella sola foiba di Basovizza, situata sul ciglione carsico a 9 chilometri da Trieste e meglio conosciuto come "il pozzo della miniera", ad una profondità di 200 metri fu trovato uno spessore pari a 500 metri cubi di salme infoibate.
Il 10 novembre 1975, nella cittadina marchigiana di Osimo, il ministro degli Esteri italiano Mariano Rumor, e quello jugoslavo Milos Minic, firmarono un trattato meritevole di entrare nel Guinness dei primati. Uno dei due contraenti, il governo di Roma, pagò una serie di prezzi non da poco: la rinuncia alla sovranità italiana della zona B, la concessione di una zona franca italo-jugoslava a cavallo del confine di Trieste che apre a Belgrado una porta verso il Mercato Comune, più altri vantaggi materiali. L'altro contraente, la Jugoslavia, non dà contropartita di alcun genere, ma si limita ad incassare i lauti benefici.
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